Riceviamo e pubblichiamo volentieri le parole che per questo 25 aprile ci ha donato Tonino Urgesi, scrittore e poeta venegonese che da anni tiene alta - non solo nel nostro territorio - l’attenzione sui diritti dei disabili e sull’inclusività.
Oggi non desidero soffermarmi unicamente sul 25 aprile 2025, giornata della Liberazione. Vorrei proporre una riflessione più ampia, più profonda, sul significato della pace e della resistenza.
Da qualche tempo ci stanno abituando a una parola nuova, almeno per alcuni: resilienza. Ma io, oggi, non la userò. Preferisco tornare a un termine che ha radici profonde nella nostra storia: resistenza.
Perché oggi, più che mai, dobbiamo resistere per esistere. Viviamo un tempo in cui è necessario incarnare la nostra resistenza quotidiana. E viene spontaneo chiederci: a cosa dobbiamo resistere?
Dobbiamo resistere all’oscurantismo, alla cancellazione lenta ma sistematica dei diritti che credevamo acquisiti, diritti che davamo per scontati, quasi fossero doni elargiti dai nostri nonni e padri. Ma quei diritti furono conquistati nel dolore, nella lotta, spesso con il sacrificio della vita, in nome di ideali alti: la libertà, la giustizia, la pace.
Noi, al contrario, ci siamo adagiati. Abbiamo dimenticato la loro lotta, la loro dignità, e con essa anche il dovere di proteggere quei sogni che li animavano. Sì, voglio dirlo con forza: avevano un sogno, e quel sogno era di libertà e di pace. Negli anni ci siamo riempiti la bocca della parola pace, abbiamo perfino dato vita al “popolo della pace”.
Ma dobbiamo tornare all’origine, al senso profondo di questa parola: la pace è un arcobaleno fra me e l’altro, fra l’essere umano e l’altro essere umano, potremmo dire fra Dio e il suo popolo. Anche oggi, dunque, dobbiamo resistere per la pace. Ma la pace non è nella natura dell’uomo. Filosoficamente potremmo dire che è un’utopia, un ideale, come affermava Tommaso Moro.
La pace, dunque, non nasce spontanea: va concepita, partorita, accudita come un figlio fragile e indifeso, giorno dopo giorno. Se non la custodiamo, se non la proteggiamo con fermezza, ce la porteranno via, insieme ai diritti per cui i nostri avi hanno combattuto.
Se vogliamo davvero difendere la pace e la libertà, dobbiamo prima prendere coscienza della minaccia che incombe. Perché se da qualche parte del mondo si combatte una guerra, allora la nostra pace è solo un’illusione. In tal caso, non stiamo parlando di nulla. Siamo rimasti seduti comodi per oltre settant’anni, a osservare conflitti e massacri scorrere davanti ai nostri occhi come se fossero scene di un film. Tutto ci è scivolato addosso, come se non ci riguardasse. Ma non è così.
Dobbiamo — come i nostri padri e madri — riconquistare la capacità di indignarci. Sì, indignazione: una parola che sembra scomparsa dal nostro vocabolario.
E allora, in questo 25 aprile, vorrei che riscoprissimo insieme questa parola: indignazione. Dichiariamo che ci indigna la guerra, ci indigna la violenza, ci indigna la morte. Dobbiamo armarci, sì, ma non di bombe: armiamoci di cultura, di coscienza, di volontà. Per dire un no forte, autentico, consapevole. Per offrire ai nostri figli una nuova prospettiva, una visione capace di pensiero critico, capace di mettere in discussione ogni forma di potere. Perché il potere più distruttivo è quello che spegne il pensiero, che plagia la mente e ci sussurra: “State tranquilli, andrà tutto bene, penseremo noi per voi.” No, grazie!
Riprendiamoci il diritto e il dovere di sognare, come fecero i nostri padri. Riconquistiamo il coraggio della resistenza, difendendo la giustizia e la pace. Partiamo dall’altro, dall’essere umano che ci sta accanto, perché è da lì che nasce ogni diritto, ogni libertà.
Tonino Urgesi
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