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Sport | 06 aprile 2025, 08:03

Matteo Bianchi appende il fischietto al chiodo. Ecco la sua vita da arbitro: «Sbagliamo anche noi, conta ammetterlo. L'hockey ha enormi potenzialità inespresse, ma senza Milano non crescerà mai»

Dopo una ultradecennale "carriera" sulle piste svizzere, il varesino ha diretto un'ultima partita al palaghiaccio tra Crazy Bees e Storm Pinerolo, con i primi vittoriosi 5-3 contro un avversario di Division I: «Un arbitro non vince e non perde, deve saper "vendere" bene le sue decisioni. Penso di aver lasciato un buon ricordo di me. Raimondi? Leadership, correttezza e passione: ci ha fatto sentire in famiglia. Prova tv in IHL? Quattro arbitri non possono non vedere falli importanti»

Matteo Bianchi appende il fischietto al chiodo. Ecco la sua vita da arbitro: «Sbagliamo anche noi, conta ammetterlo. L'hockey ha enormi potenzialità inespresse, ma senza Milano non crescerà mai»

«In tutte le cose belle c'è un inizio e una fine. Penso sia giunto il momento di non incaponirsi nel diventare un atleta parcheggiato con il fischietto in bocca, visto che ho la consapevolezza di non avere più la possibilità di crescere ulteriormente»: dando anche alla sua "vita da arbitro" un esempio di equilibrio, buonsenso e rispetto per le nuove generazioni, Matteo Bianchi ha appeso il fischietto al chiodo dopo oltre dieci anni di carriera in Svizzera e un'ultima partita diretta ieri sera nel suo palaghiaccio di Varese, arbitrando i Crazy Bees nell'amichevole vinta splendidamente 5-3 contro gli Storm Pinerolo, avversari di Division I (esame superato per Omar Cagnina e compagni, in gol con Tommaso Mascioni, Broggi, lorioli, Malacarne e Privitera).

Dal caso degli ultimi giorni in IHL che ha coinvolto l'ex portiere varesino Tura, ora all'Aosta e reo di aver tirato una bastonata non vista e non sanzionata contro Wieser del Caldaro («Quattro arbitri in IHL non possono non vedere un fallo, al di là del ricorso o meno alla prova tv»), al futuro dell'hockey italiano - «Senza Milano resterà una sfida tra paesi dell'Alto Adige, Trentino o Veneto contro Varese e qualche altra squadra del nord ovest e non crescerà mai» -, dalla situazione pre olimpica «che, da appassionato di hockey, mi lascia basito per l'assenza di un palaghiaccio e di visione a Milano» all'addio di Raimondi («Edo è portatore di leadership, correttezza, passione e un contesto familiare che fa coinvolge i varesini»), Matteo Bianchi riavvolge il film del suo amore per questa disciplina iniziando da quella prima partita arbitrata 12 anni fa, il cuore di questa bellissima storia fatta da passione, bravura e umiltà.

Matteo Bianchi, quando inizia la sua carriera da arbitro?
Smetto di giocare nel 2012/13 e comincio a fare l'arbitro in Ticino, in punta di piedi, dalla quarta lega, poi ecco la terza divisione e la seconda divisione, con quattro finali playoff arbitrate, e il ruolo di capo arbitro in prima lega.

Che arbitro è stato?
Un fischietto che parla poco, tranquillo e sa molto bene cosa pensano i giocatori: questa cosa mi ha aiutato nella gestione delle partite, anche di quelle molto tese. Penso di aver lasciato un buon ricordo di me.

La partita più difficile da dirigete?
Una gara playout tra Durnten, un club del Canton Zurigo con tanti ex professionisti e professionisti, contro lo Sciaffusa. Ricordo l'estremo agonismo in un ambiente caldissimo e un tifo assordante tra centinaia di campanacci. 

Il complimento che ricorderà?
Quello degli allenatori perché dalla panchina hanno una visione e una gestione più asettica delle emozioni. Anche perché quando gli allenatori amplificano le emozioni dei giocatori, per un arbitro poi si fa dura...

Si è mai emozionato?
Il meno possibile perché l'arbitro non vince mai e non perde mai, anche se può far bene o può far male. La grande emozione per me arriva dalla consapevolezza di aver condotto la partita senza errori, anche perché un buon arbitro si rende conto subito di aver sbagliato. E può capitare di farlo: io posso sbagliare a chiamare una penalità così un giocatore può sbagliare un gol a porta vuota. Quando ci si rende conto di averlo fatto, è bene tenere a mente che quell'errore non si deve ripetere. La scaltrezza di un arbitro è anche quella di vendere bene le sue decisioni. Anche perché nessuno meglio di un arbitro può vedere un offside, un gol, una penalità: l'importante è essere certi della decisione e poi saperla spiegare.

Finisce qui perché...
Perché in tutte le cose belle c'è un inizio e una fine: penso sia giunto il momento di non incaponirsi nel diventare un atleta parcheggiato con il fischietto in bocca che ha la consapevolezza di non avere possibilità di crescere ulteriormente. Non sarà un addio completo ai pattini e all'hockey perché dirigerò le partite dei giovani, dagli under 15 in giù, e continuerò a formare e supervisionare nuovi arbitri in Canton Ticino, prendendo per mano qualche fischietto giovane e facendo attività di coaching con lui. Uno degli slogan molto azzeccati in Svizzera è "No ref. No game": senza arbitri, non c'è partita. L'arbitro viene sempre criticato per le sue decisioni, ma senza gli arbitri non si può giocare. Abbiamo necessità di nuove leve, di donare capacità e trasmettere competenze ai chi vuole fare questa carriera in Svizzera come in Italia.

Nelle sua vita istituzionale e politica quanto c'è dell'esperienza di arbitro?
Ribalto la domanda perché ho sempre visto la cosa al contrario: cosa ha dato la mia vita istituzionale al mondo del ghiaccio? L'approccio diplomatico ma fermo, la consapevolezza di dover approfondire e studiare e allo stesso tempo di porsi obiettivi ambiziosi. Fare l'arbitro è stato, per me, un modo di completarmi.

Differenze tra giocatore e arbitro, visto che è stato sia l'uno che l'altro?
Un giocatore vince o perde e deve scaricare tutta la sua grinta sul ghiaccio nei contrasti, deve mangiarsi il disco e, con l'ultimo respiro, cercare di fare un tiro e una carica decisivi. Cambia anche lo sforzo fisico: un hockeysta in un pungo di secondi deve dare tutto, mentre l'arbitro in due ore deve dosare le energie perché sa che non può permettersi di non essere lucido o di sbagliare anche una sola penalità. Servono lucidità ed energia, oltreché la capacità di spiegare la decisione per calmare gli animi. L'essere stato giocatore in questo mi ha aiutato molto.

Perché un arbitro svizzero quando dirige una partita in Italia dà l'impressione di avere qualcosa in più?
I formatori italiani sono di ottima qualità e l'approccio alla formazione che la Fisg mette in campo non ha nulla da invidiare a quello svizzero. È differente, invece, la capacità dell'hockey di essere attrattivo per i giovani: oltre confine il bacino di utenza è molto più ampio che in Italia, dove non è neppure sul tappeto il tema di andare a fare l'arbitro. La Federazione dovrebbe dettare regole ai club e compiere investimenti per fare in modo che un ragazzo tra i 15 e i 18 anni che si accorge di non poter diventare giocatore professionista o semiprofessionista possa avere lo stesso una carriera come arbitro. Tramite un percorso alternativo, a quell'età si può tirar fuori qualche buon direttore di gara: serve però scovarlo tramite un'attività di scouting, come accade in Svizzera.

Parla da dirigente...
Parlo con cognizione di causa da italiano che è andato in Svizzera a fare il loro sport, un percorso non così semplice. Io a Chiasso avevo già giocato in seconda lega e mi ero reso conto di quanto fosse duro: se non ti comporti e non dimostri serietà e capacità sui pattini e sul ghiaccio, non vai avanti. È un motivo di orgoglio da Varesotto essere andato ad arbitrare nel campionato svizzero e nello sport degli svizzeri, venendo accettato.

Perché quest'ultima partita da arbitro?
Avevo manifestato ai Crazy e al movimento amatoriale del ghiaccio il mio desiderio di arbitrare un'ultima gara per un momento di festa e di reunion. Mi ha chiamato il capitano dei Crazy, Omar Cagnina, ed è saltata fuori questa opportunità.

Ci fa un quadro della situazione dell'hockey varesino e di quello italiano?
Il movimento dell'hockey nel nord Italia ha potenzialità enormi totalmente inespresse per mancanza di capacità e di visone politica e strategica. Questa pecca mortifica quello che è sport più visto al mondo delle Olimpiadi Invernali che verranno ospitate in Lombardia. Servono investimenti sugli impianti perché senza quelli l'hockey e il pattinaggio artistico sono destinati a comparire solo a macchia di leopardo su alcuni territori senza consolidarsi mai.
Varese ha fatto bene, ma potrebbe fare di più sul tema dell'impiantistica perché le associazioni che gravitano nel mondo del ghiaccio varesino hanno dimostrato di esserci ed essere attrattive.

Milano, che ospiterà le Olimpiadi, non ha una pista del ghiaccio... 
Rimango basito, sembra quasi che non si creda nell'hockey e negli sport del ghiaccio, pensando magari che siano di nicchia: che errore. Se la città di Milano non cambia questa visione, l'hockey resterà uno sport regionale confinato in Alto Adige, Trentino e nell'alto Veneto più qualche caso isolato a Varese e Torre Pellice.
Milano non può non avere impianti e squadre dignitose di hockey e club che portano ragazzi a pattinare perché se non c'è Milano saremo destinati a continuare ad avere il Bolzano in Austria e le squadre dei paesi dell'Alto Adige contro il Varese, senza fare mai un passo avanti. Manca un investimento serio sull'Agorà... Da sportivo rimango basito di fronte al fatto che l'Arena Santa Giulia, come dichiarato dal sindaco Sala, dopo le Olimpiadi verrà riconvertito in un palazzo per ospitare concerti.

Cosa resta a Varese dell'addio all'hockey di Raimondi?

C'è Edo, ma ci sono anche tutti i fratelli Raimondi con cui ho giocato... sono quei contesti familiari bellissimi che diventano la tua famiglia e la famiglia di tutti i varesini. Edo è passione, ma anche senso di leadership e correttezza, l'ho arbitrato tante volte quando giocava in seconda lega e lui, un giorno, mi disse: mi piace la tua autorevolezza sul ghiacico. Questo rispetto tra giocatori e arbitri è un sentimento virtuoso che fa crescere tutto il mondo del ghiaccio tant'è che profili come i nostri si ritrovano anche dopo. Lui allena i giovani a Lugano e io formo giovani arbitri. Quello che abbiamo assimilato viene donato agli altri con la grande consapevolezza dei valori più puri lasciati da questo sport.

Infine, due domande che nascono da quanto visto quest'anno, e non solo, in IHL. Quando un giocatore provoca il pubblico, o reagisce ai tifosi, deve essere penalizzato o peggio?
Se parte un insulto dagli spalti e c'è una risposta dal ghiaccio paragonabile a uno sfogo sopra le righe, serve buonsenso e si può passare sopra. Ma se c'è una bastonata sul plexiglass o un atteggiamento violento da parte di un giocatore verso il pubblico, va sanzionato perché una partita di hockey non può essere un circo. La pagliacciata nell'hockey non si può tollerare.

Ha fatto scalpore la bastonata di gara 3 della finale data dall'ex portiere giallonero Tura a Wieser del Caldaro e non vista dagli arbitri: la prova tv avrebbe dovuto portare alla squalifica del numero 1 dell'Aosta?
Nelle massime categorie del campionato svizzero, o anche in Alps, la velocità di gioco che porta a bagarre in area di porta dove può non essere così semplice vedere entrare un disco o un'irregolarità, è necessaria. In IHL, invece, con quattro arbitri sul ghiaccio i falli li devi vedere, soprattutto nei momenti importanti. Aggiungo che in caso di penalità partita, la prova tv può essere utile per il giudice sportivo che deve decidere se e quanto sanzionare un giocatore o può essere utilizzata da un club in caso di infortunio o fallo grave di un giocatore, però ripeto che con 4 arbitri i falli e le situazioni importanti in IHL non puoi non vederle e non puoi magari neppure involontariamente essere messo nella condizione di rilassarti perché tanto, poi, c'è la prova tv.

Andrea Confalonieri

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