Come se la passa Giacomo Libera, indimenticato e sfortunato attaccante di Varese nonché di Inter, Atalanta e Bari per citare solo alcune delle maglie che ha indossato, con una carriera contrassegnata da infortuni anche gravi, ma anche contrappuntata da frequentazioni al Nephenta, noto locale notturno milanese degli anni Settanta?
«A Bari si sta bene» risponde con il tipico slang pugliese che ti fa sembrare che tu stia parlando con Checco Zalone... invece è proprio Giacomone Libera nato a Varese, ma originario di Ispra. Insomma del profondo nord «e su non ci voglio tornare perché qui ci sono il sole, l'aria buona, si mangia bene e c'è bella gente».
Settantatrè anni, pensionato, ma attivo nel campo del commercio dell'abbigliamento con «una ditta di rappresentanza di marchi di qualità per uomo, donna e soprattutto per bambino. È un'attività che conduco con mia moglie Bianca e mio figlio Alessandro da diversi anni».
Il calcio niente?
Quando ho smesso qui a Bari ho fatto il patentino di allenatore per poter allenare fino alla serie D ed ho allenato il Noicattaro. Però non era il mio mestiere: io ero appassionato di abbigliamento, ho conosciuto mia moglie che sfilava ed abbiamo messo su famiglia.
E poi convinto tuo figlio.
Lui ha giocato a calcio, ha fatto la trafila nelle giovanili del Novara arrivando alla Primavera e giocando anche qualche partita in prima squadra. Poi è tornato giù ha giocato qui in Puglia ed in serie C nel Martina Franca. Ma anche lui si è appassionato a questo lavoro ed è anche molto bravo.
Il papà da giovane era un bel po' birichino.
Che ti devo dire. La vita da giovane va vissuta, se ti fidanzi a vent'anni ti rovini... o forse non proprio, per la verità, però devi fare il giovane e poi fai come me, quando arrivi in età matura trovi la persona giusta e ti sistemi.
Però tu facevi il calciatore ed anche ad alto livello.
Non dimenticare che ho avuto tanti infortuni, uno anche grave quando ruppi il collaterale e andai sotto i ferri in Francia per dodici ore. Mi si sono spaccati due menischi e, in quegli anni, per un menisco rotto stavi fuori almeno tre mesi: non come adesso che dopo una settimana vai già in panchina.
E dell'infortunio chiamato Nephenta cosa mi dici?
(risata) Guarda che non ho rimpianti. Rifarei daccapo tutto quanto ho fatto o combinato.
Nel Varese tu e Calloni siete stati due cecchini tanto da essere convocati nell'Under 21: Egidio va al Milan e tu all'Inter.
Anch'io ero stato venduto al Milan, solo che Borghi e Buticchi decisero di farmi rimanere un altro anno a Varese. Succede che giochiamo contro l'Inter a Masnago, vinciamo per due a zero ed io faccio un gol spettacolare. Il presidente Fraizzoli mi vede, va da Borghi ed io finisco all'Inter.
È la domenica sera del 31 agosto 1975...
Faccio l'esordio con la maglia dell'Inter in Coppa Italia: entro in campo e sono emozionatissimo, mi tremano le gambe, davanti a me ci sono sessantacinquemila spettatori. Nel primo quarto d'ora non capisco dove sono, poi mi riprendo e quando dalla sinistra arriva un cross anticipo tutti con il colpo di testa, la mia specialità, e batto Zoff. L'Inter vince con un mio gol: era dieci anni che non metteva sotto la Juve.
E lì entri nel cuore dei bauscia.
Bellissimo. Mi hanno sempre voluto bene. E guarda che la Juve l'ho castigata un'altra volta.
Quando?
Giocavo nell'Atalanta ed ho fatto il gol dell'uno a uno in campionato, stavolta a Torino. Una bella soddisfazione come calciatore e come tifoso interista.
Ma va?
È stato mio zio a farmi diventare nerazzurro. Lui abitava a Morbegno e la domenica arrivava a San Siro: erano i primi anni Sessanta, la prima partita che ho visto è stata Inter-Torino 4-0. Veniva a prendermi a Ispra e poi mi riportava a casa anche se lui di strada da fare, poi, ne aveva ancora tanta.
Si racconta che Fraizzoli ti fece pedinare.
Vero. Una notte delle mie mi accorgo che mi sta seguendo una macchina. Mi inquieto perché, in quel periodo, andavano di moda i rapimenti. Mi fermo ed anche dietro si bloccano, riparto e mi vengono ancora dietro. Arrivo verso casa, imbocco una stradina e mi fermo. Vengo superato e la macchina frena. Allora scendo e vado a vedere. Ti trovo due pischelli che si erano fatti sgamare e mi implorano di non dire nulla a Fraizzoli che li aveva ingaggiati per farmi seguire, avendo avuto notizie che ero un nottambulo, altrimenti avrebbero perso il lavoro ed era il loro primo incarico.
Che hai fatto?
Gli ho offerto il pranzo o la cena al ristorante per una settimana se avessero scritto che io andavo a letto alle dieci.
E loro?
Hanno rispettato i patti. Difatti al sabato, quando eravamo in ritiro ad Appiano Gentile, Fraizzoli veniva al pomeriggio con la moglie per assistere alla messa assieme a tutta la squadra. Finita, teneva un discorsetto, e quel sabato mi disse "ho saputo Libera che lei finalmente si sta comportando bene". Invece quella settimana per me era stata la più divertente e massacrante...
Il calcio lo segui?
Vado ogni tanto a vedere qualche partita del Bari, ma devo dirti che in generale non mi piace molto: è diventato un "titic" e "titoc", si gioca troppo e ti annoi. È come fare sesso per dieci giorni di fila. A parte che devi anche riposare, ma poi ti viene a noia. Ma vuoi mettere il calcio di una volta? Tutto di domenica pomeriggio e, poi, la sera alla Domenica Sportiva. Adesso accendi la televisione e c'è solo pallone.
E per battere la noia che fai?
Ho la mia attività. Faccio passeggiate anche se le mie ginocchia avrebbero bisogno delle protesi. Mi curo nell'alimentazione, appena vado su di qualche grammo sto attento. Cerco di mantenermi in forma.
Scusa Giacomo, ma questo stile di vita non potevi averlo da giovane?
Lui scoppia in una risata. Vorrebbe dire qualcosa, ma non riesce. Non gli escono le parole e continua a ridere. Il tempo, passando, lascia inesorabile i suoi segni, ma dentro Giacomone Libera ha intatta la freschezza della gioventù. E non puoi non volergli bene.
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