Una persona che non solo stimiamo tantissimo, ma che ha anche messo al centro della sua vita la Pallacanestro Varese, le ha dato tutto e la ama più di se stesso, l’altro giorno ci ha detto una frase sulla quale stiamo continuando a ragionare.
«Il cambiamento non lo puoi fermare».
Queste parole non solo ci interrogano, ma ci pungono anche nel vivo, da soggetti che invece il cambiamento a volte lo hanno anestetizzato e provano spesso a farlo, lo guardano con occhi un po’ storti, lo vivisezionano in tanti piccoli pezzi, lo tengono a distanza, tentano - finché possono, finché non ne vengono travolti - di ritardarlo.
Sarà una forma mentis, sarà la paura…
Sì, succede anche nel basket, ogni qualvolta si è chiamati a parlare della Pallacanestro Varese.
Le domeniche (o i sabati) di questi anni “scoliani” ci hanno spesso atteso al varco in tal senso, quando nell’esercizio della critica insita nella nostra professione davanti a noi si è parato davanti un bivio: assecondare la nouvelle vague oppure farle le pulci.
Facile salire sul treno che porta lontano da ieri quando è in corsa e senza stazionoi, più difficile farlo quando lo stesso continua a fermarsi, a scontrarsi, ad arrancare.
Addirittura a deragliare. Come accaduto oggi, la sera in cui Brescia ha travolto i biancorossi con uno degli scarti peggiori della sua storia (ribadiamo quanto scritto QUI, per il momento: ricordiamo solo a Treviso nel 1999 - il famoso -47 di una stagione infine indimenticabile ma in positivo - una debacle numericamente più profonda). Come è accaduto, purtroppo, tante, troppe volte negli ultimi anni…
Oggi però a Masnago non è stata una serata come le altre. Oggi sotto le volte della Cattedrale del basket futuro e passato si sono incontrati come raramente prima. Oggi la Varese che da anni ha deciso di prendere una serie di idee dalle radici lontane, proiettate su un nuovo modo di intendere la pallacanestro, e impiantarle nel campo varesino, ha incontrato il simbolo dei giorni che il calendario ha salutato, l’alfiere dei tempi che ora sembrano solo un ricordo sotto al Sacro Monte. Un ricordo di ere che cestisticamente paiono lontanissime e incompatibili, nonostante arrivino consecutivamente una dopo l’altra.
L’abbraccio è stato commovente fuori dal parquet e disastroso lungo le piastrelle di legno trattato, dove - più che il passato - a imporsi è stata una Brescia inavvicinabile dalla sgangherata e povera armata di Herman Mandole.
Non ha vinto Giancarlo Ferrero oggi, ci mancherebbe... Piuttosto ha perso la Varese che dell’epoca di Giancarlo Ferrero ha smarrito per strada una serie di qualità che è stato un peccato mortale buttare via.
Le Varese del Gianca erano Varese umili e combattive, consapevoli della loro caratura e quindi pronte a lottare, a lavorare, a cambiare, a migliorare. Erano Varese che davanti alle grandi non si spaventavano: perdevano, spesso, quasi sempre, ma non crollavano. Erano Varese che non umiliavano i propri tifosi, perché nel caso avrebbero umiliato prima se stesse. Erano Varese che cercavano la semplicità, che sapevano correggersi, che sapevano chiedere scusa quando sbagliavano.
Erano Varese che stavano nel mondo e non fuori da esso, Varese che non cercavano le novità a tutti i costi, soprattutto quando esse davano prova (non una, tante...) di non funzionare.
Erano Varese che economicamente si attaccavano alla canna del gas peggio di quella di oggi, ma non restituivano l’impressione - come purtroppo accade attualmente - di andare a cercarsi le proprie disgrazie.
Erano Varese che non performavano in termini di classifica granché meglio di quelle di oggi (lo abbiamo già scritto, leggi QUI), ma non ti facevano tornare a casa spaesato, pervaso dal senso dell’abbandono e dell’impossibile.
Capitan Ferrero di tutto questo era il centro, l’uomo che ci metteva il volto, il baluardo, il “padre” oltre il quale non potevi andare se sul parquet non scendevi a dare tutto, quello che certe sconfitte non le avrebbe mai lasciate passare nello spogliatoio. Era il collegamento tra la squadra e i tifosi. Che oggi, invece, si sentono persi.
È vero, il cambiamento non lo puoi fermare, ormai lo sappiamo per esperienza: ma questo domani che pulsa non siamo obbligati a prenderlo a ogni prezzo. E davanti a questo -41 lo ribadiamo.
Ed è solo il passato che ha il potere di indicarti che la strada che hai preso probabilmente non è forse del tutto quella giusta, ponendovi rimedio, con intelligenza, spogliandosi di quel narcisismo che porta a innamorarsi anche di ciò che non va.
Prima che sia troppo tardi.
Commenti