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Eventi e Turismo | 06 dicembre 2024, 07:21

Festival di Sanremo: il Tar obbliga il comune ad una gara, una sentenza che ricorda quella 'Bosman' del 1995. L'analisi

La sentenza del tribunale avrà sicuramente fatto drizzare le antenne ai tanti broadcaster che tra piattaforme e streaming sognano di soffiare la kermesse alla Rai

Festival di Sanremo: il Tar obbliga il comune ad una gara, una sentenza che ricorda quella 'Bosman' del 1995. L'analisi

Lo stop al monopolio Rai sul Festival, con la devastante sentenza del Tar che sbriciola il muro di certezze eretto dalla tv di Stato in 75 anni di storia dell'evento più nazional-popolare che ci sia (almeno in Italia), può essere paragonata alla sentenza Bosman che (nel 1995)  ha cambiato il calcio, altro potentissimo simbolo delle nostre passioni e tradizioni, dando più potere ai giocatori (e ai procuratori), liberi di scegliersi il loro destino a fine contratto, e quindi sottraendolo alle società.

Anche questo verdetto è nel segno della liberalizzazione, sia pure in un altro contesto. Qui sono in gioco gli interessi dell'industria musicale e quelli televisivi, finora di esclusivo appannaggio Rai. I cantanti non sono calciatori, ma pure loro scendono in campo,  nell'arena sanremese, per orientare le carriere e ‘scaldare’ le tifoserie.

L'edizione 2025 è risparmiata dai giudici amministrativi liguri, anche perché già ampiamente apparecchiata (Carlo Conti ha appena annunciato i 30 big), ma nel 2026 chi manovrerà la gigantesca e complessa macchina festivaliera che macina milioni e milioni, di euro e telespettatori? Il Comune dovrà, infatti, indire una gara secondo regole comunitarie, per affidare al migliore offerente la sua gallina dalle uova d'oro. Niente più convenzioni tra Palazzo Bellevue e l'ente di viale Mazzini: campo libero per chi vorrà provare a mettere le mani sul Festival. "Del doman non v'è certezza", citando Lorenzo il Magnifico.

Ma se l'intento del tenace Sergio Cerruti, l'ex dj diventato presidente dell'Afi (Associazione fonografici italiani) ed a capo dell'etichetta Je che ha presentato il ricorso accolto dal Tar, fosse anche quello di "scippare" il Festival a Sanremo dopo essere riuscito a far tremare la Rai, allora ci sarebbe da preoccuparsi davvero. Non tanto per le possibilità di riuscita, nulle (o quasi) a nostro avviso, quanto per l'assurdità del solo pensiero. Cosa sarebbe il Festival senza Sanremo (e viceversa)? E' un'idea che, ogni tanto, qualcuno lancia adducendo problemi infrastrutturali, di capacità ricettiva, di collegamenti con il resto del mondo. In parte reali, in parte pretestuosi. Sta di fatto che il Festival della canzone italiana è proprietà indissolubile della città e non può essere trasferito altrove. Sarebbe come sottrarre il Festival del cinema a Venezia o la Fashion Week a Milano, per citare due illustri esempi. Non a caso, oggi quasi tutti gli addetti ai lavori dicono "Sanremo", e non Festival, se devono parlare della manifestazione. Più chiaro di così...

Il Tar separa il marchio dal format festivaliero ed esorta l'amministrazione a cercare di ottenere di più dall'evento, sempre secondo i principi di trasparenza. Ecco, questo dovrebbe rasserenare i nuovi inquilini di Palazzo Bellevue, piuttosto colpiti dalla sentenza. A preoccuparsi maggiormente dovrebbe essere la Rai, che soprattutto negli ultimi anni ha ottenuto moltissimo dal Festival restituendo poco, in proporzione, alla città. Se gara dovrà esserci (quasi scontato il ricorso al Consiglio di Stato), allora il Comune potrebbe approfittarne per alzare il prezzo, anziché accontentarsi per non rischiare di inceppare la "gioiosa macchina". Con la Rai o con chi dovesse sostituirla.

"Meglio un avvocato per Sanremo..." aveva preconizzato il sindaco Alessandro Mager in campagna elettorale, sponsorizzando se stesso, da affermato penalista qual è: il destino l'ha messo subito alla prova.

Gianni Micaletto

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