Come se non fosse successo nulla: il bottino degli ultimi due weekend resta a quota 2 punti, sarebbe stato tragico se fosse stato di 0.
È che Varese ha vinto la partita “sbagliata”, piegando l’armata che avrebbe dovuto matarla senza colpo ferire per poi mostrare l’altra guancia in un match ampiamente alla sua portata e contro un’avversaria salvezza.
Come se non fosse successo nulla: siamo dove avremmo sperato di essere due settimane fa, almeno a livello di aritmetica, anche se a caldo il cuore e l’intelletto stasera ci “parlano” di un’occasione sprecata e dobbiamo zittirli in modo brusco per evitare di ascoltare la loro sacrosanta verità.
La lettura del match odierno è peraltro più facile di quanto lo sia stato lo stesso cimento una settimana fa: dopo la Virtus avevamo dovuto scomodare il metafisico, oggi ci bastano i numeri.
Uno in particolare: i 41 tiri da tre, record stagionale di conclusioni dall’arco tentate da parte della Openjobmetis. Per comprendere dove avessimo già visto una messe di dardi simile, un lunapark applicato alla pallacanestro di tal fatta, è bastato un brevissimo sforzo di memoria. È bastato tornare all’anno scorso, agli attacchi sconclusionati e monocorde della Biala’s band, la peggior interprete del Moneyball che si sia mai vista sulla faccia della terra.
Perché se lo stile di gioco non è in discussione, e in effetti non lo è, andrebbe appena appena sussurrato un principio che in pochi sottolineano, nonostante sia il centro della questione: se vuoi praticare certi ritmi, se vuoi sostenere certe scelte offensive, devi essere in grado di farlo. E si dà il caso che il prontuario del Moneyball non preveda per nulla di tirare così tante volte da fuori, soprattutto quando il tiro viene spiccato con l’avversario davanti. Nella scala gerarchica della filosofia suddetta (ma anche del basket alla sua antitesi, ovvero quello che si giocava 30 anni fa) la prima cosa da ricercare quando si offende è arrivare al ferro, poi viene la possibilità di prendersi un fallo, per andare in lunetta, quindi - solo al terzo posto - arriva il tiro da 3 dall’angolo. “Uncontested” (cioè senza l’avversario davanti): se la stessa memoria di cui sopra ci sostiene, una più che discreta parte dei 41 tiri dalla lunga di questa sera sono stati presi con la difesa appiccicata, oppure da 8 e più metri, ad attacco “rotto”.
E questa stortura ha avuto un interprete formidabile, nel bene ma - a conti fatti - soprattutto nel male. Jaylen Hands ha una sola dimensione se non viene assistito da compagni che siano in grado di aprire l’area con le penetrazioni, cercando di arrivare al ferro come priorità comanderebbe: quella di aggiustarsi con il palleggio e sganciare la bomba. A volte riesce a infilare siluri senza senso, altre volte - nel secondo tempo di oggi - sono sdeng e occasioni perse.
Contro la Virtus ad allargare il campo ci avevano pensato due giocatori in stato di grazia, Librizzi e Johnson, stasera invece Varese è progressivamente naufragata nella mancanza di passaggi e nella prevedibilità: l’overdose di triple è tutta qui.
Quando arriva Sykes, che serve come il pane?
Poi, in questa sconfitta evitabile, noi ci abbiamo visto anche altro: la solita mancanza di difesa, soprattutto nei momenti decisivi, e troppa superficialità. Nei “rigori” sbagliati, nelle palle perse evitabili, nella gestione di certe azioni, nel pressappochismo di alcune giocate.
Il giorno in cui le Varese dell’era Scola si toglieranno la “G-League” dalle vene sarà un gran bel giorno, ne siamo certi.
Sarà il giorno in cui ti capiterà di vincere la lotteria e quindi di battere la Virtus, ma anche quello in cui non ti butterai via subito dopo, perdendo a Scafati.
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