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Sport | 19 settembre 2024, 07:40

Quando non si può che tornare: «Come Varese niente. Solo qui i tifosi sono parte di una famiglia»

Il "mago" Marco Franchini riapre il libro dell'amore per i Mastini a due giorni dall'esordio casalingo: «È come se non me ne fossi mai andato, questa è la mia seconda casa e potrei rimanere a Varese per sempre». Ma c'è anche altro: coach Glavic («Con lui sto costruendo un rapporto vero, sta creando un ambiente più professionale che in passato...»), il campionato («In quattro squadre ci giocheremo tutto»), il gruppo («Il segreto? Stare insieme») e il futuro: «Vorrei giocare in una serie A vera l'anno prossimo»

Quando non si può che tornare: «Come Varese niente. Solo qui i tifosi sono parte di una famiglia»

È un mago perché fa sparire e riapparire il disco dove vuole, è insostituibile - ecco il termine giusto - perché se esistono tanti giocatori capaci di fare la differenza, nessuno riesce a farla alla Marco Franchini. Un modo di essere e giocare di cui innamorarsi - o con cui innamorarsi dell'hockey - come accadeva nel calcio con i Roberto Baggio e i Del Piero: irripetibile e impossibile da replicare quel numero 12 che schizza come una biglia sulla pista, quando sembra che nemmeno l'ombra riesca a stargli dietro. 

Se non c'è, manca. Se c'è, lascia il segno. Quando il disco pesa una tonnellata e magari qualcuno sugli spalti chiude perfino gli occhi per paura di vincere, la leggerezza e l'istinto killer del mago Franchini tramutano il sospiro in boato.

Negli anni difficili in cui Massimo Da Rin teneva duro e, pezzo dopo pezzo, ricostruiva la tempra vincente dell'ambiente e della squadra, il gol della consapevolezza del ritorno alla ribalta dei Mastini - quasi una scintilla da cui scoppiò l'incendio che ancora ci divora (sabato per l'esordio delle 18.30 con il Dobbiaco il palaghiaccio si sta riempiendo) - fu suo: un coast to coast da balaustra a balaustra con il disco quasi nascosto in un taschino e, poi, ricomparso per magia oltre la linea di porta avversaria.

Ora che risponde sempre più speditamente anche in italiano, per lui un'impresa forse più ardua perfino della doppietta campionato-coppa, risulta davvero difficile immaginare i Mastini senza Franchini: un anno di lontananza, è sembrato un secolo.

Che città e che ambiente hai ritrovato, Marco?

È come se non me ne fossi mai andato in realtà. Questa è la mia seconda casa, l’ho detto tante volte e lo ribadisco. Potrei anche decidere di vivere qui per sempre, vedremo. In squadra ho ritrovato un ambiente positivo, lo spogliatoio è felice, siamo stanchi perché lavoriamo molto ed è normale in questo periodo della stagione. Tutto va bene e anche il coach mi piace: comunica molto, si mette a nostra disposizione per qualunque cosa abbiamo bisogno. Finora tutto bene, insomma, sono davvero contento di essere di nuovo qui.

Hai salutato con Devèze, riappari con Glavic: che differenze trovi tra i due?

Per me sono come il giorno e la notte. Con Devèze personalmente non c’era grande comunicazione, con Glavic è esattamente il contrario: parliamo, non solo di hockey, e questo aiuta a costruire un rapporto. E penso che più stretto è il rapporto fuori dal ghiaccio, meglio si sta anche sul ghiaccio. Gaber è una persona molto aperta, o almeno lo è stata finora, e sono veramente felice di essere allenato da lui. Quando giochiamo ci dà diversi consigli ed è chiaro su quello che vuole da noi: noi stiamo cercando di “aggiustarci” per fare quello che ci chiede, per adattarci al suo sistema. Dalla conoscenza dell'hockey alla preparazione atletica: Glavic sotto molti aspetti sta creando un ambiente più professionale rispetto al passato.

Con il Bellinzona sono state cambiate le linee e tu ti sei trovato a giocare con Alessio Piroso e Andrea Vanetti: com’è andata?

Bene, visto ho segnato due gol (sorride ndr)… A parte questo mi sono trovato bene davvero con loro così come mi sono trovato bene con Kuronen. Non c’ero abituato, perché nel mio passato varesino ho sempre giocato con Borghi, Mazzacane o Perna o Drolet, e mai con loro. Siamo ancora nella parte iniziale della stagione, vediamo come andrà. Penso che il coach stia cercando di trovare le soluzioni e l’alchimia migliori tra di noi: questo è il momento di fare esperimenti per riuscirci, non durante la stagione o alla fine.

Conosci bene il campionato e le avversarie dei Mastini, a partire dall’Aosta di cui hai fatto parte lo scorso anno: come vedi questa IHL? Se dovessi fare una griglia di partenza, dove metteresti il Varese?

In una top five inserirei noi, il Caldaro, l’Aosta, l’Appiano e, come quinta, non saprei: potrebbe essere l’Alleghe o il Fiemme, mentre il Pergine ha perso tanti giocatori. Vedremo poi se il Fassa è migliorato davvero.

Avversari fisici e aggressivi: possono essere un problema?

No, a essere sincero. Noi dobbiamo semplicemente giocare in modo intelligente ed evitare di cadere in trappole e provocazioni. Personalmente non sono venuto qui a “picchiare”, ma a segnare.

Perché sei così amato dal pubblico varesino? Cosa piace di te alla gente?

Interagisco molto con i tifosi, penso conti questo. Anzi, io non li considero tifosi, li considero degli amici. C’è una grande differenza. Quando li incontro, anche in centro città, invece di salutare e andarmene via, mi fermo a parlare con loro, o se qualcuno mi scrive o mi fa una domanda sui miei social cerco sempre di rispondere. E anche l’anno scorso, pur lontano, sono rimasto in contatto con diverse persone. Varese è unica sotto questo punto di vista: in altri posti i fan sono fan, qui sono qualcosa di più, sono parte di una famiglia. Con la quale abbiamo condiviso tanto e vinto tanto, e questo ci lega ancora di più.

Ti mancava tutto questo a Merano e Aosta?

Sì, mi mancava l’atmosfera varesina, perché non l’ho mai ritrovata da nessun'altra parte. A Merano non c’era niente, ad Aosta c’erano sì dei tifosi ma non come quelli gialloneri… Varese è Varese.

A vedervi da fuori, quest’anno sembrate un gruppo di giocatori felici che stanno bene insieme… È così?

Sì, siamo tutti sulla stessa lunghezza d’onda, stiamo insieme e facciamo le cose insieme: non capita mai che qualcuno sia sul ghiaccio e qualcun altro in palestra. Se io soffro in allenamento, anche tutti gli altri lo stanno facendo. E se soffriamo insieme, cresceremo insieme e faremo bene insieme. È un ottimo contesto quello che si sta creando, e il coach aiuta, ci tiene uniti.

Qual è l’arma che dovrete avere quest’anno per arrivare fino in fondo?

Lavorare duro, naturalmente, difendere tanto e fare ognuno la sua parte: la difesa deve difendere, l’attacco segnare, i portieri parare… Se staremo insieme, potremo tornare in alto ancora, come due anni fa. 

Già, due anni fa… Come valuti questi Mastini rispetto a quelli che vinsero tutto?

È difficile fare paragoni ed è vero che tanti giocatori sono gli stessi. Penso che questa squadra sia un po’ più giovane, quindi potremo avere più forza sul ghiaccio. Ci sono ragazzi che hanno esperienza, ragazzi che hanno velocità: siamo una buona formazione, proprio come quella. Potremo diventare anche migliori, ma è presto per dirlo.

Hai un obiettivo personale per questa stagione?

Ovviamente fare tanti punti e segnare tante reti, vincere campionato e coppa Italia e fare contenti i miei amici tifosi.

Nel tuo futuro, invece, cosa vedi?

Magari allenerò i ragazzi qui, non mi dispiacerebbe. Potrei trasferirmi definitivamente a Varese e lavorare rimanendo nel mondo dell’hockey. E se l’IHL diventerà davvero la Serie A l’anno prossimo, cosa che innalzerebbe il livello dell’hockey italiano e porterebbe valore, potrei giocare un’altra stagione. Oppure finire così… Vedremo.

Andrea Confalonieri e Fabio Gandini

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