“Siete sicuri che sia io il Pasquale che state cercando?”. Era quasi sorpreso Pasquale Bonavota quando questa mattina i carabinieri del nucleo operativo diretti dal comandante Michele Lastella lo hanno arrestato.
Il boss, latitante dal 2018 stava pregando nella cattedrale di San Lorenzo, ha esibito ai militari un documento falso, intestato a una persona realmente esistente, ora al vaglio degli inquirenti, poi dopo un timido tentativo di convincere i carabinieri che stessero arrestando l'uomo sbagliato, è stato portato via.
Subito dopo i carabinieri si sono recati nel suo appartamento a San Teodoro, dove hanno trovato 20 mila euro in contanti, alcuni cellulari e altre carte d'identità false, tutte però intestate a persone esistenti. Che Bonavota avesse legami con la Liguria era noto dall'indagine 'Rinascita Scott' del 2019 condotta dalla procura di Catanzaro, che aveva portato all'arresto di 334 persone, alcuni dei quali avvenuti proprio a Genova.
Un altro indizio sulla presenza del boss a Genova era il fatto che la moglie vivesse e lavorasse a Genova, nel quartiere di Sampierdarena. Apparentemente i due non avevano rapporti, ma agli inquirenti è sembrato subito strano. La moglie, secondo quanto emerge, è un'insegnante che lavora in una scuola a Genova, la sua posizione è al vaglio degli inquirenti.
Bonavota, notato per caso dai carabinieri che lo hanno riconosciuto mentre entrava in chiesa, è apparso smagrito, dimesso, secondo quanto riferiscono gli inquirenti. Era tra i latitanti più ricercati d'Italia, dal 28 novembre 2018 era stato inserito nell'elenco dei latitanti di massima pericolosità del 'programma speciale di ricerca' del Ministero dell'Interno, era ricercato per associazione di tipo mafioso e omicidio aggravato in concorso.
Gli interessi del boss si erano concentrati in Piemonte, tra Moncalieri e Carmagola, dove, tra il 2015 e il 2016, Bonavota era stato assunto fittiziamente in una ditta della provincia di Torino, intestata a sua volta a un prestanome delle cosche. Nel comune alle porte di Torino, dove ci sono infiltrazioni delle famiglie vibonesi colpite da operazioni della DDA di Torino, i Bonavota avevano aperto un bar.
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