Arriva al bar del palaghiaccio con le due "sorelle" che, dopo essersi fatte il giro della città e di piazza Monte Grappa, svettano così luminose da poterci guardare dentro le emozioni del presente e un pezzetto di futuro, come fanno gli stregoni con le sfere di cristallo. Ma se il "mago" del ghiaccio, che scompare agli avversari e riappare davanti al portiere per fulminarlo, è Marco Franchini, a capo del ministero della magia giallonera c'è Matteo Malfatti. Con lui, collante e filo invisibile che unisce la "gioventù" giallonera della Kronenbourg ma, ancor prima, dell'Argo, alla nuova generazione dei Mastini campioni 2023, proviamo ad andare al di là di risultati e vittorie, guardando avanti. Non per "rivincere" ma per "resistere" e durare al vertice per anni, prima di salire ancora più su: servirà rigenerarsi e un po' rinnovarsi con quella linfa giovane e vitale affinché il testimone di questi guerrieri gialloneri possa essere raccolto presto da nuove generazioni di Mastini, coprendo il buco generazionale causato dalla chiusura del palaghiaccio.
Matteo Malfatti, ci siamo sempre chiesti come hai compiuto il primo miracolo e cioè l'arrivo di Rocco Perla. Ce lo racconti?
Tutto iniziò da un'informazione chiesta a Paolo Della Bella, ex portiere dei Mastini. Che rispose: «Mi ricordo un ragazzino molto bravo che allenavo a Varese, ma l'ho perso di vista...». Tramite amici finlandesi risalii al numero della mamma di Rocco, e poi a lui. Gli dissi: «Ho visto un po' di video su di te, hai vent'anni, sei bravo: vieni qui a provare?». Lui si trovava in Finlandia e, serafico come sempre, rispose: «Devo fare un altro anno qui, mi spiace». Rimasi d'accordo che ci saremmo sentiti a fine stagione.
All'inizio quello di Perla fu un «mi spiace, non posso»... Poi cosa accadde?
Un mese dopo, mentre eravamo abbastanza disperati, comparve il numero di Perla sul mio cellulare: «L'offerta è ancora valida?». Chiamai Bino - tra noi basta una parola o uno sguardo per capirci - che prenotò immediatamente il volo: tempo 24 ore e Rocco era a Varese. Bastarono 3 giorni per firmare il contratto. Abbiamo avuto anche fortuna visto che era un elemento un po' lontano e sconosciuto, sparito anche dai radar della Federazione.
Il giocatore più difficile da firmare?
Nessuno. Tutti mi hanno detto "sì" al volo. A fare la differenza è stata la consapevolezza di ritrovare vecchi amici e ricomporre la famiglia giallonera al completo. In poche parole: il senso di appartenenza.
C'è stato un momento della stagione in cui hai avuto paura di non farcela?
Sì: l'infortunio di Perla. Ho pensato: «Se Rocco non resiste fino a fine stagione, si fa dura». Per il resto sono sempre stati squadra e coach a darmi serenità assoluta. Da Drolet, con il suo atteggiamento incredibile nell'affrontare le partite che contano, alla saggezza di Edo Raimondi, tutti mi dicevano: «Stai tranquillo, Matteo».
In gara 6 in Alto Adige, con il Caldaro avanti 3-2 nella serie, cosa ha fatto la differenza?
Il pubblico e la forza interiore dei giocatori. Che dicevano: «Meritiamo di tornare a Varese e lo faremo. Non può finire così». Il campionato lo abbiamo vinto lì, con quel fuoco dentro che in quel momento il Caldaro non aveva. E ce l'abbiamo fatta grazie al pubblico più feroce, determinante e magico in cui mi sia imbattuto nella mia vita giallonera. Anche loro volevano tornare a Varese.
Hai vissuto il tifo degli scudetti e della Kronenbourg: cosa c'è in comune con questo?
Tanto, a partire dal fatto che i tifosi di quell'epoca ci sono anche adesso e sono decisivi. Nella fatidica gara 6 ho avuto la sensazione che si fosse aperto un passaggio temporale: all'improvviso mi sono ritrovato catapultato sotto il muro giallonero degli scudetti.
Cosa succede quando parte Rosamunda, soprattutto in trasferta?
È come se l'anima della gente si fondesse con quella della squadra. Come se un vento soffiasse sugli avversari, invincibile.
Perché così tanti bambini, anche in trasferta, tifano per voi?
Questa è una cosa fantastica e vale un titolo. Come dice Carlo, abbiamo creato una famiglia e un ambiente in cui i bambini si divertono, un clima sano e puro in cui ci si sente tranquilli sugli spalti, in casa e fuori: in altri sport, soprattutto ad alti livelli, non è facile che accada. I giocatori vivono in mezzo alla gente senza neppure bisogno di chiederglielo, anche se noi sceglieremo sempre uomini capaci di essere coinvolti totalmente nell'ambiente. L'empatia tifosi-giocatori è la nostra arma in più. Oltre a un'altra bellissima cosa...
Quale?
Il passaggio da 30 a 90 ragazzini nel settore giovanile in un anno e, tra quei 90, ci sono trenta bambini tutti della stessa età. Significa che quei 30 bimbi cresceranno assieme con il sogno di giocare da grandi nei Mastini: questo è il patrimonio inestimabile lasciato da questa stagione. La sinergia con il vivaio - ci sono altre società come Cortina e Merano che hanno gestioni diverse, non c'è da stupirsi - dovrà far sì che quel bimbetto di 6 anni venuto in trasferta a Caldaro con la maglia giallonera del settore giovanile a trent'anni possa essere quello che ora è Andrea Vanetti.
Negli anni difficili vissuti prima di questo non hai mai pensato "chi me lo fa fare..."?
La passione è talmente viscerale che, in quei momenti, sono andato oltre tutto, anche al pensiero di sacrificare la mia famiglia e il mio lavoro. Mi piace credere che si stia raccogliendo ciò che abbiamo seminato e che, quando si fanno enormi sacrifici, alla fine vieni ripagato. Se non ci fossimo anche divertiti, però, la sola professionalità non sarebbe bastata per arrivare fin qui.
C'è una cosa ancora più bella delle coppe "sorelle"?
Sapere di avere regalato gioia e il piacere di stare assieme a così tanta gente. I problemi che abbiamo nella vita di ogni giorno siamo riusciti a dimenticarli venendo alle partite dei Mastini e vivendo quest'avventura insieme a loro.
L'abbraccio indimenticabile qual è stato?
Quello di papà Raimondi perché arriva da una persona di cuore ma solitamente tutta d'un pezzo. Vederlo con le lacrime per la seconda volta in pochi mesi, contento ed emozionato non solo per suo figlio ma per tutto quello che è successo, mi ha molto colpito.
Non hai paura che la città dia per scontato che i Mastini debbano continuare a vincere o fare il salto in Alps?
No. Dobbiamo vivere quello che ci è successo come un'opportunità, prendendo tutto ciò di buono che ci lascia questa stagione per poi essere pragmatici e anticipare eventuali problemi che potremmo avere in futuro, compiendo scelte importanti. Non basta riconfermare in toto la squadra, e saremmo tutti felicissimi di farlo: rischieremmo di trascinare in là il problema "generazionale", senza affrontarlo. Dovremo portare qui stabilmente giovani talenti, che già si stanno affacciando, per dare continuità al movimento dell'hockey a Varese, come succede a Pergine e a Caldaro. La strada corretta per arrivare al ricambio non è il puro piacere che proveremmo nel rivedere in pista tutti i giocatori di quest'anno solo perché per noi e per chiunque sono come figli: così ci troveremmo il cerino tra le mani tra un anno o due. Con Devèze costruiremo qualcosa capace di durare.
Qual è il rapporto con il coach?
Totale. C'è un progetto condiviso da mesi che proseguirà: Claude è la persona perfetta per crescere senza rinunciare all'ambizione.
Di giovani forti ne abbiamo visti parecchi arrivare da Aosta: Perino, Gesumaria, Fanelli, Garber...
Ci sono loro e ce ne sono altri, tutti di livello: dovremo inserirli perché siamo nella condizione di poterlo fare e perché quest'anno siamo appetibili. Qualcuno potrà iniziare a lavorare o a compiere un percorso universitario in un progetto completo dentro e fuori dal ghiaccio... poi magari accadrà come con Zafalon, che arrivò da Cortina a vent'anni e divenne a tutti gli effetti varesino, amato dai varesini. Vorrei che per i prossimi dieci anni ci fossero giocatori che seguiranno l'esempio dei Mastini di oggi, capaci di fare innamorare il pubblico e garantirci un futuro. Ma dobbiamo averli qui e farli giocare.
Anche perché questa è una stagione probabilmente irripetibile sotto tanti punti di vista. Basta pensare al gol di Perla: in quarant'anni di hockey non avevo mai visto segnare il portiere.
È come se il destino avesse ridato in un colpo solo, meritatamente, il premio delle sofferenze patite negli anni e tutto ciò che era stato portato via nelle stagioni passate dallo stesso destino...
Sì, ma basta retorica e malinconia. Mi piace pensare che la pagina più bella debba ancora arrivare e che un giorno i Mastini riusciranno ad arrivare su palcoscenici più importanti, nel momento e nel modo giusti.
Soprattutto se la Federghiaccio cambierà le regole e i tre gradi in cui è diviso attualmente l'hockey tricolore, soprattutto un'Alps con 7 italiane, 7 austriache e una slovena. A proposito: vi hanno chiesto di fare il salto in alto?
Sì, ma in questo momento risolveremmo un loro problema, perché una piazza come Varese fa gola, creandone uno a noi... L'Alps con la finale Cortina-Jesenice giocata davanti a meno tifosi di quelli presenti all'Acinque Ice Arena fa riflettere: significa che c'è scarso interesse e che, probabilmente, qualcosa va cambiato. Oggi farebbe più pubblico Cortina-Varese rispetto a una gara contro una squadra austriaca. Noi non dobbiamo correre dietro ai problemi degli altri ma aspettare il momento giusto per noi, che arriverà: quando la struttura dei campionati sarà rivista, noi saremo pronti a fare il salto.
Quale sarà la sfida del prossimo anno?
Fare una squadra per arrivare in fondo a tutte le competizioni ma, soprattutto, gettare il seme perché in futuro nei Mastini siano protagonisti nuovi Vanetti, Borghi, Raimondi, Mazzacane, Odoni e Privitera, a costo di perdere un po' di malizia di fronte all'occasione di mettere alla prova e far crescere un talento. Il Varese dovrà durare per anni, ricreando uno zoccolo duro come questo.
Temi di perdere qualcuno dei protagonisti - dal portiere agli stranieri - di fronte a un'offerta di categoria superiore o dall'estero?
Può succedere ed è una cosa non stoppabile: non puoi mettere le catene ai pattini di chi è tecnicamente forte e merita di salire. Dovremo essere bravi a puntare sulla nostra visione, sul nostro progetto di crescita, sui buoni tecnici a cui ci affidiamo per trattenere o fare venire qui i giocatori. Questo vale molto di più rispetto a dire semplicemente di voler vincere il campionato o la coppa.
Una cosa che nessuno ha detto sulla finale e sul Caldaro?
Dovremo ricordarci che c'è sempre un avversario e che battere il Caldaro è stata un'impresa. Ce l'abbiamo fatta per un tiro di Schina passato in mezzo a 20 gambe e pattini, compresi quelli di un portiere alto due metri. Il dettaglio o la situazione in cui dall'alto qualcuno guarda giù poteva capitare anche a loro e, oggettivamente, non avrebbero rubato nulla. Oggi siamo stracontenti, ma avremmo dovuto esserlo anche dopo una sconfitta.
A chi mette l'ambizione davanti a tutto cosa dici?
Che non va fatto il passo più lungo della gamba. Il progetto viene prima della brama di successo e, se coltivato con cura, amore e pazienza, porta in maniera sana e naturale allo stesso punto a cui potremmo già arrivare ora soltanto con i soldi. Aiutiamoci a essere tutti pronti a fare un passo avanti, il giorno in cui sarà giusto farlo.
Un grazie che nessuno ha pronunciato a chi lo rivolgi?
In generale a tutte quelle persone che fin qui non sono state ringraziate e invece se lo meritano. Poi, in particolare, dico "grazie" a Max Mordenti perché ha messo i ragazzi nelle condizioni di stare bene ogni giorno.
Buona fortuna, Matteo, con un augurio, oltre a quello di continuare a essere il collante giallonero: rimanete voi stessi, senza farvi cambiare da nessuno. Difendete la vostra capacità di "dire tutto" con uno sguardo.
Sport | 22 aprile 2023, 08:49
Malfatti, il ministro della magia giallonera: «Gettiamo i semi per farvi innamorare dei Vanetti e dei Borghi del futuro»
Direttore sportivo e anello di congiunzione tra gloria del passato, trionfi del presente e sogni futuri: «Quando i tifosi cantano Rosamunda in trasferta ci sentiamo come gli eroi del passato, l'anima della gente si fonde con quella della squadra. Dall'arrivo avventuroso di Perla al disco di Schina passato tra 20 gambe e finiti in gol in finale, il destino ci ha restituito ciò che aveva tolto. L'Alps e il salto in alto? Al momento giusto e nel modo giusto, prima creiamo uno zoccolo duro per durare negli anni e lanciamo i Raimondi di domani. Il progetto con Devèze prosegue anche per questo. La gioia più grande è vedere felici gli altri e passare da 30 a 90 ragazzini del vivaio che sognano da grandi di giocare in prima squadra. Un grazie speciale a Max Mordenti»
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