Prosciolto dall’accusa di turbativa d’asta in quanto "il reato è prescritto" e da quello di peculato perché "il fatto non sussiste". In questi termini lo scorso venerdì 8 luglio la VI sezione della Corte di Cassazione si è espressa in merito al procedimento giudiziario che vedeva imputato l’ex sindaco di Argentera Arnaldo Giavelli, che nel dicembre 2016 era decaduto dalla carica di primo cittadino in ragione delle Legge Severino per le risultanze dell’inchiesta "Valle Pulita", con la quale il Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Cuneo aveva acceso un faro su un’articolata vicenda di appalti (leggi qui) disposti dall’Amministrazione da lui guidata tra il 2014 e il 2015 .
Nel processo di primo grado istruito presso il Tribunale di Cuneo e che vedeva anche alla sbarra la moglie dell’uomo, Elisa Degioanni, Giavelli venne assolto per le ipotesi d’accusa di turbativa d’asta e peculato, mentre fu condannato (a un anno e sei mesi) per abuso d’ufficio.
Nel novembre scorso la Corte d’Appello di Torino aveva in parte ribaltato quel primo verdetto, condannando l’ex amministratore e la moglie, rispettivamente, a una pena di 3 anni e 4 mesi per turbativa d’asta e peculato e a 1 anno di reclusione (con pena sospesa) per turbativa d’asta, mentre l’uomo era stato assolto dall’accusa di abuso d’ufficio.
Un verdetto ora nuovamente rovesciato in forza della sentenza della Suprema Corte, accolta ovviamente con soddisfazione dall’avvocato Paolo Botasso, che ha difeso l’uomo insieme al collega torinese Paolo Scaparone: "Dopo sette anni di un processo che ha rappresentato per il mio cliente una vicenda particolarmente dolorosa la Cassazione ha confermato la corretta interpretazione che dell’intera vicenda venne data dai giudici di primo grado".
Prosciolta per prescrizione dall’accusa di turbativa d’asta anche la moglie dell'uomo, difesa dagli avvocati Stefano Campanello e Paolo Adriano.
La posizione di Giavelli rimane aperta per quanto attiene un’ultimo capo d’imputazione, della decina sui quali il processo di primo grado era stato incardinato. Si tratta dell’accusa di falso, secondo lo stesso legale meno rilevante ai fini della quantificazione della pena arrivata con la condanna dell’appello e per la quale è stato disposto un rinvio ad altra sezione di Corte d’Appello.
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