Il cammino del corteo con le autorità, le forze dell’ordine e gli uomini della protezione civile si è snodato silenzioso in mezzo al bosco fitto del Mottarone, punteggiato solo dai singhiozzi di una anziana parente di una delle vittime. "Ci hanno rovinati", bisbiglia tra le lacrime prima che gli uomini della Croce Rossa la facciano sedere sul ciglio della stradina che taglia il bosco.
A dodici mesi dalla tragedia costata la vita a 14 persone, in una mattinata cominciata sotto un cielo quasi limpido e finita sotto una cappa spessa di nuvole basse, prevalgono la commozione e il dolore, insieme al desiderio di riservatezza. Quasi nessuno ha voglia di parlare. Chi lo fa, però, non nasconde anche un forte sentimento di rabbia.
"Ci hanno abbandonati completamente, noi vogliamo giustizia e la vogliamo in fretta. Nessuno si è fatto sentire, dallo Stato non abbiamo ricevuto neppure le condoglianze: è peggio del Ponte Morandi". Sono le parole di Teresa Pelagi, nonna di Mattia Zorloni e mamma di Elisabetta Personini, mamma e figlio di Vedano Olona in provincia di Varese, che hanno perso la vita insieme al papà di Mattia, Vittorio Zorloni, nello schianto della cabina.
L’appuntamento era davanti alla stele di pietra grigia con i nomi dei morti, collocata ai piedi del tratto di ripido pendio dove un anno fa la cabina numero 3 della funivia ha finito la sua drammatica corsa. Appena più in alto sono ancora visibili gli alberi tagliati a novembre per consentire la rimozione del relitto. In questo piccolo santuario del dolore inspiegabile, si sono dati appuntamento in tanti: il presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio, la sindaca di Stresa Marcella Severino con tanti sindaci e amministratori della zona il procuratore capo di Verbania, Olimpia Bossi con la sostituta Laura Carrera i rappresentanti delle forze dell'ordine e i soccorritori che per primi, quella domenica di maggio di un anno fa, sono giunti sul luogo dell'accaduto. E poi numerosissimi congiunti e amici delle vittime.
Tra loro Aya Biran-Nirko, la zia del piccolo Eitan, unico sopravvissuto alla strage, insieme ad altri congiunti. Si sono si sono raccolti in silenzio piangendo davanti al cippo e hanno chiesto di rimanere da soli qualche istante mentre il corteo si dirigeva verso la chiesa della Madonna della Neve.
Qui il parroco di Stresa don Gianluca Villa, con una omelia senza giri di parole ha raccolto la domanda di giustizia di tutti i presenti. Facendo riferimento all’episodio biblico dell’uccisione di Abele da parte del fratello Caino, don Villa ha detto , tra l‘altro, “Dio padre si rivolge a Caino: ‘Che hai fatto? La voce del sangue grida a me dal suolo’. Questo grido si sente sempre più forte anche qui dal Mottarone, sino a quando giustizia non sarà fatta. Questa terra è intrisa di sangue innocente”. E ha aggiunto: “Per favore, in nome delle lacrime dei parenti e in nome di Dio teniamo i piedi per terra per individuare volti, manovre, scelte irresponsabili portate avanti non da fantasmi del Mottarone ma da precise persone”. Don Villa ha concluso con una immagine forte: “Una mancata giustizia – ha detto – sarebbe un diabolico freno a mano contro la speranza e un cazzotto allo stomaco per tutti coloro che credono e lottano per la giustizia”.
Visibilmente commossa, come china sotto il peso dell’interrogativo di chi si è visto strappare via un pezzo di cuore e vorrebbe vedere rapidamente puniti i responsabili, la procuratrice Olimpia Bossi quasi sussurra: "Abbiamo avuto sempre - ha concluso - come nostro obiettivo quello di rispondere alla richiesta di giustizia”. E poi se n’è andata: l’aspetta l’ultimo miglio prima della chiusura delle indagini. Primo appuntamento il 14 luglio al Tecnoparco per l’udienza finale dell’incidente probatorio.
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