I ciclofattorini di Uber Eats hanno diritto al riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato: è il senso di una sentenza con cui il tribunale del lavoro di Torino ha condannato una società collegata, Uber Italy, al termine di una causa promossa da 10 riders.
Tre euro a consegna
Ai ricorrenti, l'azienda dovrà corrispondere la retribuzione per l'attività svolta oltre alle relative indennità. Sulla vicenda, intanto, è in corso a Milano un procedimento penale per caporalato. Nelle loro varie iniziative giudiziarie, i ricorrenti (spesso stranieri reclutati per lo più nei centri di accoglienza) hanno affermato che erano pagati tre euro a consegna, soggetti a ritmi di lavoro "massacranti", multati senza vere giustificazioni. I giudici non hanno invece riconosciuto i danni per la mancata applicazione delle misure di sicurezza e il mancato rispetto della privacy.
"E' stata fatta giustizia"
"E' stata fatta giustizia di una condizione di lavoro fuori da ogni parametro che getta vergogna sul nostro Paese". E' quanto ha dichiarato dopo la sentenza l'avvocato Giulia Druetta, che ha assistito i ricorrenti insieme al collega Sergio Bonetto. "Dalle carte dell'inchiesta penale di Milano è emerso che ai rider ci si riferiva con termini quali 'schifosi' o 'senzatetto maleodoranti'. Ora vedremo come andrà il processo. Ma dal punto di vista dell'inquadramento lavorativo mi sembra chiaro, visto che noi parlavamo di fatti avvenuti ancora nel 2020, che la situazione, nonostante il decreto legge del 2019, non può dirsi risolta. La piaga è da sanare".
Uber: "Sentenza su situazioni passate"
"La decisione odierna riguarda una situazione passata e ben specifica, che coinvolge una società di delivery con cui non lavoriamo più. Nell'ultimo anno abbiamo rivisto e rafforzato i nostri processi, introducendo una serie di modifiche per fornire ai corrieri indipendenti un ambiente di lavoro sicuro. gratificante e flessibile", è stata la replica di Uber Eats. "Siamo in attesa di ricevere le motivazioni della sentenza, dopodiché valuteremo l'opportunità di ricorrere in appello".
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