Il Nazionale

Sport | 10 novembre 2021, 22:42

«Vieni qui, "Ciciu", stai tranquillo né»: l'umanità del signor Gianfranco univa giocatori, custode del palazzetto, ministro, autista e tutti noi

Francesco Caielli ricorda Gianfranco Castiglioni, l'ultimo grande patron della Pallacanestro Varese: «Arrivava al palazzetto per giocare a scopone con il Bottelli, il Lorigiola e il Riva. Una bottiglia di (pessimo) vino bianco sul tavolo ma una generosità eccessiva e genuina. Come tutti gli errori e tutti i falsi sorrisi di chi gli è stato vicino finché conveniva per poi voltargli le spalle facendogli male. Alla Porziuncola creava la Varese che sognava»

«Vieni qui, "Ciciu", stai tranquillo né»: l'umanità del signor Gianfranco univa giocatori, custode del palazzetto, ministro, autista e tutti noi

Gianfranco Castiglioni non c'è più (leggi QUI): Riccardo Sogliano, ex "papà" del Varese tornato in serie B dopo 25 anni, lo chiamava semplicemente "patron" perché in un tempo in cui contavano solo i rapporti umani, bastava sedersi accanto ai banchetti della tribuna stampa del parterre per capire cosa sarebbe successo sul parquet del Lino Oldrini o sul campo del Franco Ossola. Alcune persone capaci di guardarti in faccia e usare il computer e la penna con passione, istinto, popolarità e competenza inarrivabili, raccontarono la Pallacanestro Varese di Gianfranco Castiglioni "faccia a faccia" con l'ex patron, nel bene e nel male. Una di queste, Francesco Caielli, ricorda in queste righe il signor Gianfranco. Con purezza e onestà palpitanti. (A.C.)

Non c’è altro da fare, oggi, se non ricordare. Perché ho voluto bene, tanto, a Gianfranco Castiglioni: e questa notizia, nonostante tutto quello che è successo dopo, apre le borse della tristezza e quella dei ricordi. 

Ricordi che mi riportano sempre a una sola parola: generosità. Sì, generosità: il Gianfranco era di una generosità enorme, spropositata, unica, sincera, a volte eccessiva ma sempre genuina e mai precotta. Perché il Gianfranco non pensava mai se convenisse voler bene a qualcuno o no: semplicemente, gli voleva bene. 

E una generosità così ti porta a pagare tutto: tutti gli errori – perché sì, il Gianfranco ne ha commessi – e tutti i falsi sorrisi di chi gli è stato vicino finché conveniva per poi voltargli le spalle facendogli male. Però una generosità così ti porta anche a compiere gesti e a lasciare segni che restano indelebili in chi ha la forza di ricordare. 

E sì, io quella forza ce l’ho. 

Ricordare quelle feste alla Porziuncola, l’evento varesino dell’anno: in cui il Gianfranco invitava il sindaco ma anche i frati della Brunella, i giocatori della Pallacanestro Varese ma anche il custode del palazzetto, il ministro ma anche il suo autista. E si divertiva a metterli assieme ai tavoli, a mescolare mondi diversi, a offrire vino rosso e champagne. A creare, anche per una sera soltanto, la Varese che sognava. 

Ecco, il suo autista: il Diego. Il Diego con cui il signor Gianfranco (perché il Diego lo chiamava così) aveva un rapporto che andava al di là di tutto, al di là del concetto stesso di rapporto. E quando il Diego se ne andò, portato via da quel male brutto, sul viso del Gianfranco apparve un’ombra che gli è poi rimasta sempre disegnata addosso.  

Ricordare quando arrivava al palazzetto, quasi tutte le sere, verso la fine dell’allenamento. Per vedere i suoi ragazzi? No, per giocare a scopone con il Bottelli, il Lorigiola, il Riva: con una bottiglia di (pessimo) vino bianco sul tavolo. 

Ricordare come voleva bene a Ruben Magnano e come non capisse perché noi della Provincia lo attaccavamo così tanto: «Ma il “Rubens” - lo chiamava così - è bravo, lasciatelo stare». Ricordare quando difendeva i suoi giocatori, quando i tifosi e la stampa li attaccavano. Non ricordava mai i nomi, li chiamava tutti allo stesso modo: «Vieni qui, “Ciciu”, stai tranquillo né».

Ricordare le feste di Natale su al Palace, con quel trio di suonatori messicani ingaggiati per dare un tocco sudamericano alla serata per omaggiare un allenatore e due giocatori argentini.

Ricordare quanto amava i suoi figli, quell’orgoglio per tutto quello che facevano e che lui raccontava.

No, non c’è altro da fare, oggi, se non ricordare. 

Ricordare un uomo che, a modo suo, ha dato tanto a Varese e alla Pallacanestro Varese. E questo è il piccolo grazie di chi, insieme al Gianfranco, ha scritto pagine ed è diventato grande: anni indimenticabili, sicuramente irripetibili, certamente bellissimi. 

Anni in cui noi eravamo giovani, anni in cui sognavamo senza ritegno, anni in cui tutto ci pareva possibile e raccontare della pallacanestro a Varese era la cosa più bella che ci potesse capitare.
Francesco Caielli

Francesco Caielli

Commenti