Il Nazionale

Cronaca | 28 ottobre 2021, 16:20

Obbligo vaccinale per i sanitari, il Consiglio di Stato boccia il ricorso presentato dall'avvocato genovese Daniele Granara

In questo caso, davanti al CdS, Granara ha preso le parti di alcuni sanitari del Friuli Venezia Giulia che hanno fatto appello alla sentenza del Tar che aveva confermato l'obbligo vaccinale per il personale di ospedali, cliniche e rsa

Obbligo vaccinale per i sanitari, il Consiglio di Stato boccia il ricorso presentato dall'avvocato genovese Daniele Granara

Il Consiglio di Stato boccia un ricorso contro l'obbligo vaccinale per il personale sanitario, presentato dall'avvocato Daniele Granara, il professore genovese che assiste anche i sanitari liguri nella battaglia legale contro l'imposizione del vaccino, attualmente in attesa della sentenza del Tar di Genova.

In questo caso, davanti al CdS, Granara ha preso le parti di alcuni sanitari del Friuli Venezia Giulia che hanno fatto appello alla sentenza del Tar che aveva confermato l'obbligo vaccinale per il personale di ospedali, cliniche e rsa. Nel merito i giudici hanno accolto in parte l'istanza, relativamente alla legittimità del ricorso collettivo e cumulativo, ma nel merito lo hanno respinto

"La sicurezza delle cure, - si legge in un passo della sentenza - si realizza anche mediante l’insieme di tutte le attività finalizzate alla prevenzione e alla gestione del rischio connesso all’erogazione di prestazioni sanitarie e l’utilizzo appropriato delle risorse strutturali, tecnologiche e organizzative.

In ragione di questo generale principio, che precede l’attuale emergenza epidemiologica ed implica la sicurezza anche di chi cura e del luogo di cura oltre che del come si cura, è lecito attendersi dal paziente bisognoso di cura e assistenza, che si rechi in una struttura sanitaria o sociosanitaria, pubblica o privata, ed è doveroso per l’ordinamento pretendere che il personale medico od infermieristico non diventi esso stesso veicolo di contagio, pur sussistendo un rimedio, efficace e sicuro, per prevenire questo rischio connesso all’erogazione della prestazione sanitaria.
 Sarebbe – e in taluni casi verificatisi in Italia a vaccinazione già avviata, purtroppo, è stato – un macabro paradosso quello per i quali pazienti gravemente malati o anziani, ricoverati in strutture ospedaliere o in quelle residenziali, socio-assistenziali o socio-sanitarie (al cui personale lavorativo anche esterno, opportunamente, il recente art. 2, comma 1, del d.l. n. 122 del 10 settembre 2021 ha infatti esteso l’obbligo vaccinale, inserendo nel d.l. n. 44 del 2021 l’art. 4-bis), contraessero il virus, con effetti letali per essi, proprio nella struttura deputata alla loro cura e per causa del personale deputato alla loro cura, refrattario alla vaccinazione.
Una simile evenienza, che il legislatore ha voluto scongiurare introducendo, come si è detto, l’obbligo vaccinale per il personale sanitario, costituirebbe (ed ha costituito) un grave tradimento di quella «relazione di cura e fiducia tra paziente e medico» e, più in generale, tra paziente e gli esercenti una professione sanitaria che compongono l’équipe sanitaria, un ripudio dei valori più essenziali che la medicina deve perseguire e l’ordinamento deve difendere, a cominciare dalla solidarietà, concetto, questo, spesso dimenticato, come taluno ha osservato, in una prospettiva esasperatamente protesa solo a rivendicare diritti incomprimibili.

Tale relazione di cura e di fiducia, secondo l’art. 1, comma 2, della l. n. 219 del 2017, è il fulcro della prestazione sanitaria e si fonda sul consenso informato nel quale si incontrano l’autonomia decisionale del paziente e la competenza, l’autonomia professionale e la responsabilità del medico, responsabilità non secondaria né trascurabile nella tutela del paziente che viene a contatto con lo stesso medico e il personale sanitario.

Nel dovere di cura, che incombe al personale sanitario, rientra anche il dovere di tutelare il paziente, che ha fiducia nella sicurezza non solo della cura, ma anche nella sicurezza – qui da intendersi come non contagiosità o non patogenicità – di chi cura e del luogo in cui si cura, e questo essenziale obbligo di protezione di sé e dell’altro, connesso al dovere di cura e alla relazione di fiducia, non può lasciare il passo, evidentemente, a visioni individualistiche ed egoistiche, non giustificate in nessun modo sul piano scientifico, del singolo medico che, a fronte della minaccia pandemica, rivendichi la propria autonomia decisionale a non curarsi
".

Francesco Li Noce

Commenti