Il grande piazzale di Cornigliano davanti alle acciaierie, nei miei ricordi da giovane cronista, lo rammento zeppo di auto anche nel turno di notte. Erano gli anni ’80 e funzionava un altoforno che inquinava e venne spento. Gli occupati erano circa diecimila ed arrivarono a punte di dodicimila, qualche migliaio in più, soltanto a Genova, di tutto il numero attuale dei dipendenti che il grande polo siderurgico conta in tutta Italia.
Poi il grande sito di Cornigliano, simbolo della Genova del lavoro e che produceva acciaio e occupazione cambiò, nel tempo, padroni, nome, mentre il mondo girava allo stesso modo di sempre ma sul pianeta cambiava la vita.
Da industria orgogliosa quanto ad occupazione, oggi, a quasi 40 anni di distanza, è diventata sito dove la vita da lavoratore è praticamente solo ansia, dopo le vicissitudini di ex Ilva e ora Mittal e domani chissà.
“La situazione è drammatica, terrificante. Nessuna prospettiva per il futuro. Ci abbiamo rimesso 2 mila euro l’anno con gli accordi, ora perdiamo il 3% che non è stato dato. Questo influisce molto sul budget di una famiglia”: la testimonianza è di chi vive la fabbrica come metalmeccanico, come uomo e come sindacalista, quale è Paolo Olmari, Rsu Fim Cisl presso le acciaierie.
“L’aria in fabbrica è pesante, emozione, timore per il futuro ma soprattutto demoralizzazione e tensione”, dice, ricordando le manifestazioni degli ultimi tempi, i cortei, gli scioperi, gli incontri con le istituzioni a discutere di una cassa integrazione che nessuno condivide.
“Siamo primi nella banda stagnata in Italia, famosi persino al di fuori dei nostri confini - dice - e la richiesta è alta. E allora perché cassa integrazione? La conseguenza è che gran parte dei lavoratori deve impegnarsi parecchio per arrivare a fine mese. A volte si riusciva anche a mettersi qualcosa da parte. Adesso, con mutui, soldi che non si prendono più, è cambiato tutto. Faticoso far quadrare i bilanci”.
Ma Olmari informa come nei lavoratori ci sia pure irritazione verso lo Stato, azionista della compagine che gestisce il colosso metallurgico e che non interviene ma piuttosto, afferma il sindacalista “alimenta incertezza proprio per questo fatto di essere nell'azionariato. Si è sempre nel vago, non viene mai formulata un’idea piana. Ci fanno vedere slide su investimenti e progetti che nessuno ha mai visto, ma un piano industriale effettivo non c’è. I sindacati non sono mai stati menzionati per un piano industriale”.
Olmari lancia poi anche un allarme circa l’apparato industriale dell'industria a Genova: “Se il lavoro rallenta troppo o quasi si ferma e se non viene fatta adeguata manutenzione ai macchinari e non si fanno investimenti, i macchinari invecchiano, si rovinano. Genova è la maggiore produttrice di banda stagnata in Italia e la richiesta di laminato è enorme. Noi lamentiamo questa scarsa manutenzione”.
Stato d’animo di ansia che appare comprensibile e preoccupante, presente un po’ in tutti i circa mille dipendenti dello stabilimento di Genova, secondo per importanza nel Paese. “Il lavoro - insiste Olmari - non è facile, è pesante ma anche importante. Per lo stabilimento di Cornigliano ci vuole rilancio economico. L’acciaio è fondamentale per una nazione e se dobbiamo andarlo a comprare siamo rovinati. E poi non è da oggi che facciamo vita difficile. Io come tanti altri sono passato attraverso molte fasi del sito. So di cosa parlo; ho vissuto la chiusura dell’altoforno, poi sono passato all’area a freddo, l’epoca Riva, il commissariamento. Con Mittal speravamo in un futuro tranquillo. Invece siamo in una situazione difficile. Brutta, anche psicologicamente”.
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