E così, la società che secondo molti avrebbe dovuto tirare i remi in barca e smobilitare se a novembre fosse stata ultima in classifica, proprio quando è stata ultima in classifica non solo non ha lasciato ma ha raddoppiato, investendo ancora e cambiando quasi tutto pur di conquistare la salvezza e arrivare in fondo più “ricca” di quando era partita l’estate scorsa dalla polvere della terza categoria.
Più ricca perché ha conquistato il pubblico usando ogni mezzo per salvarsi, e la gente del Varese ama l’estremismo di una salvezza più della mediocrità di un centro classifica o d’inutili playoff, più ricca perché ha evitato ogni polemica interna o esterna, compattandosi al di là delle singole vedute (se sei ultimo, qualcuno comunque sbaglia), più ricca perché ha saputo lottare nel presente pensando al futuro (centro sportivo delle Bustecche e riqualificazione dell’antistadio), più ricca - in fondo - perché ha saputo dare un valore all’ultimo posto, alla salvezza, alla lotta senza quartiere partita per partita. La fame degli ultimi non è scontata quando ti chiami Varese e per blasone, bacino d’utenza e potenzialità dovresti lottare sempre per essere primo. La fame degli ultimi ha fatto la differenza in campo, in panchina, in società, in città e in provincia dove si amano questi colori.
AREA TECNICA: FALLITO L’OBIETTIVO INIZIALE. AL COMANDO NE BASTA UNO
L’area tecnica ha raggiunto la salvezza, certo, ma l’obiettivo del Varese era ben altro. Soprattutto per il budget messo sul tavolo. Quindi, il risultato chiesto la scorsa estate da chi ha finanziato il Varese, è stato fallito. Questo non significa che è giusto voltare pagina, ma che è legittimo farlo. Ed è quello che è stato deciso da molti mesi. L’errore, a monte, è stato quello di affiancare più figure decisionali in quest’area, un ds e un consulente di mercato, oltre a due allenatori (entrambi hanno chiesto e ottenuto o allontanato giocatori). Le scelte di mercato le fa una persona e non più d’una, confrontandosi con la proprietà o comunque con il vertice (Ezio Rossi fu scelto dal presidente) o con il tecnico, sempre che non sia già quest’ultimo a guidare da manager il mercato. Altrimenti perdono o pagano tutti, come s’è visto.
Va anche detta un'altra cosa, guardando a quanto accaduto quest’anno: essere "collegati" al club biancorosso gestendo più giocatori di diverse squadre, può essere un vantaggio ma anche un danno. Perché ci si espone a una domanda a cui è difficile rispondere: “Ma se gestisci un giocatore forte, o più forte, di quelli che hai portato al Varese, perché quel giocatore forte non l’hai portato in biancorosso?”. Il Varese merita di avere tutto il meglio da chi agisce per nome e per conto del Varese.
L’ALLENATORE NON DEVE ESSERE SIMPATICO. VERO PEO?
Il tecnico Ezio Rossi è il principale attore della salvezza e, solo per questo, merita la conferma. Che poi meriti anche di fare il manager e costruire la squadra, vista l’ampia conoscenza di giocatori di categoria, magari confrontandosi con un solo uomo dell’area tecnica (sui giovani?), è una scelta che spetta alla società. E che sarà giudicata dai fatti.
Ezio Rossi è l’allenatore forse meno malleabile, “complice” o empatico con cui ci siamo confrontati a Masnago - a volte sembra non dare confidenza o essere “lontano”, come se avesse già visto o vissuto tutto e gli altri poco o nulla - ma non servono queste doti per vincere.
Però Rossi ha qualcosa che arriva dal passato: sembra mandato dal destino, al centro di un disegno scritto da altri, magari perfino da Peo Maroso. E queste cose, possono anche fare la differenza. È come se dovesse o potesse chiudere un cerchio.
Se oggi quindi dovessero chiederci “con quale allenatore il Varese tornerà in serie C”, risponderemmo certamente Ezio Rossi (certo, siamo abituati ad allenatori che si confrontano con ds forti, alla Capozucca, alla Sogliano, alla Milanese, e a quell'ìdea restiamo ancorati, fintanto che qualcuno ci dimostri il contrario).
LA SQUADRA: L’ASSE PORTANTE, I RINFORZI E L’INTOCCABILE
Sulla squadra aggiungiamo che l’asse portante c’è già, e non potrebbe essere diversamente se il Varese ha conquistato 30 punti nel ritorno (12 all’andata): 30 per 2 fa 60, mentre il Gozzano è salito con 78. Non dovrebbero essere impossibile trovare i 18 che sono mancati nell’andata, ripartendo dall’ossatura vincente del ritorno. In casa, però, di punti ne sono arrivati solo 14 contro i 28 in trasferta, sintomo di mancanza di personalità, oltre che di gol (mentre sono stati comunque troppi quelli presi). Gli arbitri, in questo, non hanno contato nulla.
L’asse c’è già: Mapelli-Parpinel-Gazo-Disabato, cui s’è aggiunto a livello di prestazioni e carattere Quitadamo, e a cui vanno affiancati Minaj e Capelli, l’ala che può esplodere e quella che ha trainato, con i suoi gol e la sua elettricità, nei momenti chiave. Se poi qualcuno vuole bocciare il primo perché selvatico e imprevedibile, si assumerà, giustamente, la responsabilità della scelta.
Da rifare l’attacco, vera nota dolente - Merkaj, 24 anni a luglio e 18 gol a Bra è uno dei profili perfetti da Varese -, ed è da trovare un portiere capace di fare la differenza, insieme a Siaulys se accetterà di restare, mentre al fianco di Gazo e Disabato serve un altro uomo di esperienza/personalità.
Sugli altri si può discutere all’infinito: Scampini a noi è sempre piaciuto per capacità di ruggire sulle caviglie, peccato per i troppi infortuni, idem Romeo spazzato via sul più bello così come Marcaletti. Anche Nicastri, spesso da subentrante, ha dato l’idea di poter dare una spinta in più ma il vero “intoccabile”, per noi, è Thomas Aiolfi. A 17 anni ha rivincite, fame e stigmate da Varese.
SOCIETÀ: UN RINFORZO, PIÙ SIMPATIA E MENO REGOLE DA CASERMA
Sulla società, diciamo che dovrà rinforzarsi: manca una figura capace di fare da raccordo tra squadra-allenatore-proprietà-tifoseria 24 ore al giorno, 7 giorni su 7. Un Silvio Papini, per intenderci. “Un”, non “il”: il Papo ha tutto il diritto di godersi la vita e il nipotino. Un team manager, se non lo si vuole chiamare segretario (alla Dibrogni per intenderci) che unisca sapienza a sensibilità, soprattutto nei momenti difficili, che sappia usare le parole e fare le mosse giuste, che non lasci indietro o solo nessuno, dentro il club e nell’ambiente.
Serviranno anche più comunicazione, più ascolto, più simpatia, più porte aperte che chiuse: non è un caso che a entrare nel cuore della gente sia stato chi, pur appena arrivato, è stato capace con i suoi slanci, la sua genuinità e schiettezza, la sua presenza, la vicinanza, il colore e il calore anche sui social di battere la freddezza, il distacco, l’austerità e quelle che a volte sono apparse rigide regole da caserma, per noi che seguiremmo questi colori anche sulla Luna, prive di quel tocco d'umanità che fa la differenza in una famiglia qual è il Varese.
LO PINTO E ROSATI
Lo Pinto, principale finanziatore della stagione, ultimamente è sembrato un po’ disilluso o stanco: impossibile fingere per un uomo solare come lui. Il discorso è semplice: visto che al Varese è stato avvicinato dall’amico di vecchia data Rosati, sarà quest’ultimo a doverlo eventualmente convincere a impegnarsi in egual misura, e ad ascoltarne eventuali proposte, oppure sarà lo stesso ex patron della B a dover trovare un “nuovo” Lo Pinto. Operazione possibile anche se, nel mondo del calcio e soprattutto a Varese, è difficile entrare nella carne viva di un club e di un ambiente come accaduto quest’anno con il vicepresidente e sponsor che, a volte, è sembrato essere anche di più, almeno agli occhi dei tifosi. Qualcuno a cui, dopo essersi legati, è difficile dire addio.
Sulla proprietà, c’è poco da dire: senza la volontà di Rosati e la disponibilità di Lo Pinto, non saremmo qui. Sensazioni? Solo un colpo di scena o una "sentenza" extra campo potrà impedire a questo Varese di riproporsi nella prossima stagione con l’obiettivo di provare a salire. Parlando di Varese, il mondo può sempre cambiare in un battito d’ali. Ma, suvvia, siamo ottimisti.
IL NOSTRO GRAZIE
Il grazie è rivolto a tutti coloro che hanno sacrificato quest’anno un pezzetto della loro vita al Varese. Una domenica, una notte insonne, un’arrabbiatura, una canzone, un po’ di tempo, denaro, cuore o un pezzetto della propria famiglia. Chiunque l’abbia fatto, senza chiedere nulla in cambio che non sia l’orgoglio di vedere felici i tifosi perché il Varese è passato dall’ultimo posto in classifica al sedicesimo (poca roba, tanta roba), merita un grazie. Tutto il resto è noia.
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