E’ una storia di resistenza, gioventù, ricordo e amore per la famiglia quella di Oreste Mario Rovaretto, deportato a Dachau e scomparso giovedì all’età di 94 anni. Nato a Torino nel 1927 da una famiglia operaia, abitava in via Carmagna a Mirafiori.
Giovanissimo impara il mestiere dal padre Carlo, che è un meccanico di precisione, insieme al quale lavora in un’officina specializzata nella realizzazioni di prototipi al tornio e a mano tra Lingotto e Piazza Bengasi. Gente comune, senza un indirizzo politico particolare, ma che durante la Seconda Guerra Mondiale non appoggia il fascismo.
E proprio nell’aprile del ’44 Mario viene coinvolto, tramite il fratello di un amico che è partigiano, in un’azione. I partigiani devono fare un trasporto di pane con una barca sul Po, ma nel tratto Lingotto-Bengasi c’era il campo della contraerea delle SS illuminato da un enorme faro. E proprio il ragazzo - che all’epoca con i suoi 17 anni è il più giovane, faceva canottaggio ed abitava nelle vicinanza -si offre di staccare i fili della corrente per rendere buio il tratto.
Mario riesce a salire sul palo, ma nel mentre una pattuglia passa da lì: gli amici scappano e lui rimane solo. Al mattino il padre Carlo preoccupato chiede agli amici del figlio, ma questi impauriti non osano dire la verità:” Sappiamo che lo hanno arrestato, ma non conosciamo le ragioni”.
Il papà ignaro si presenta al commissariato di Spezia tenuto dalle SS che lo considerano complice e lo arrestano. Sottoposti ad interrogatori brutali non parlano: Carlo perché non sa veramente nulla, Mario perché non vuole tradire gli amici e dichiara di aver cercato solo di rubare il rame del filo. Il padre cerca di difendere entrambi, dichiarando che sono semplici meccanici di precisione: quello che a Torino all’epoca veniva considerato un vanto, per loro fu una condanna.
Le SS, che avevano bisogno di alte qualifiche in Germania, non li denunciarono e non li fecero processare: semplicemente, il 24 aprile del ’44 li imbarcarono su un treno verso il campo di Bolzano. A Dachau vennero subito mandati al campo di lavoro di Pyramiden-Spitze, un’officina di alta precisione. Per questo riuscirono a sopravvivere fino al 28 aprile del ’45, giorno in cui liberarono il campo. Dopo varie avventure, riuscirono a tornare a Torino il 30 agosto dello stesso anno.
Mario, sentendosi in colpa per aver causato la deportazione del padre, gli promise di non parlare con nessuno di questa esperienza: si sposò poi con Carla Griva (nipote dell’operaio antifascista della Fiat Giuseppe Griva, deportato a Mauthausen dopo gli scioperi del’ 44 a Torino e ucciso con un’iniezione di benzina al cuore) ed ebbero un figlio. Solo nel 2000 Rovaretto promise sul letto di morte di Anna Cherchi, deportata come lui, di divulgare la memoria. Ritornò nei campi che lo videro prigioniero e si impegnò nelle scuole, nelle manifestazioni, in incontri per mantenere viva la memoria affinché mai più si potesse ricadere in crimini così tremendi.
Il funerale di Mario Oreste Rovaretto si svolgerà sabato presso la chiesa della Santissima Trinità di Nichelino.
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