Inizia oggi il weekend che ci ha introdotti al lungo anno di Covid anche nella nostra provincia. Lo scorso febbraio 2020, tra sabato 22 e domenica 23, infatti, scattava il primo provvedimento di chiusura delle scuole nella regione, deciso dal Presidente della Regione, Giovanni Toti. Un viatico che ci avrebbe poi portato al lockdown di 69 giorni.
“In seguito alle direttive governative e ministeriali – recitava il comunicato di domenica 23 febbraio 2020 - e considerata la prossimità del territorio ligure con regioni limitrofe nelle quali si sono sviluppati focolai, dalle 00.00 di lunedì 24 e fino alle 24 del 1° marzo 2020 su tutto il territorio regionale, vengono sospese tutte le manifestazioni pubbliche, di qualsiasi natura, la sospensione della partecipazione alle attività ludiche e sportive, la sospensione dei servizi educativi dell’infanzia e delle scuole di ogni ordine e grado, nonché́ della frequenza delle attività̀ scolastiche, universitarie e di alta formazione professionale e dei percorsi di istruzione e formazione professionale”. Con quell’ordinanza venivano anche chiusi al pubblico i musei e gli altri istituti e luoghi della cultura e delle biblioteche, oltre ai concorso pubblici.
Quella sera stessa iniziavano i primi ‘assalti’ ai supermercati, perché la parola ‘lockdown’ circolava già e in molti avevano addirittura il timore che potesse succedere quanto riportavano i giornali e le tv nazionali da Wuhan, città cinese da dove tutto è nato e dove non si poteva nemmeno andare a fare la spesa. Non accadde proprio così ma, due settimane dopo e in piena notte, arrivò il primo Dpcm, un acronimo che abbiamo imparato proprio in quei giorni, in cui veniva sospeso tutto in Italia.
Dopo il 24 febbraio, infatti, vivemmo ancora 15 giorni di attesa, conditi dalla vicenda dell’hotel ‘Bel Sit’ di Alassio, il primo vero focolaio della Liguria e poi si arrivò alla sera del 9 marzo, quando il primo ministro Giuseppe Conte annunciava agli italiani che il paese chiudeva e si fermava, ad eccezione i servizi essenziali. Venne subito dopo la conferma dell’Oms che l’epidemia non era tale ma era da considerare pandemia.
Insomma, tutto nacque proprio un anno fa. Passammo 69 giorni chiusi in casa, con la paura di un virus che, ancora adesso non ci ha consentito di tornare alla vita normale. Bar e ristoranti dovettero chiudere, così come i negozi, tranne quelli essenziali. Si iniziò a parlare concretamente di smart working e di ristori per chi chiudeva. Anche tra familiari si poteva solo parlare al telefono o in video chat, che anche per noi giornalisti divenne uno strumento fondamentale per comunicare. Scattò anche l’iniziativa #andràtuttobene, una speranza di sopravvivere e tornare alla normalità. Per molti, purtroppo, non è andata così ma è storia nota.
Si arrivò al 18 maggio, quando finì il lockdown e la gente è tornata a riversarsi sulle strade, forse troppo. Si penso che il peggio fosse passato, ma in molti tra scienziati e medici avevano previsto che sarebbe arrivata la seconda e la terza ‘ondata’. Dopo un momento di ritorno alla normalità, con spiagge e locali aperti, a ottobre la nuova mazzata e l’arrivo dei ‘colori’ tra aperture, chiusure, asporto e delivery. Capitolo a parte per le scuole, anche in questo caso tra aperture e chiusure.
A novembre si è iniziato a riaprire ma, proprio all’inizio di dicembre le prime avvisaglie di un mini lockdown per le feste di fine anno che, puntuale come un orologio, è arrivato regolarmente. Il 31 dicembre una boccata d’ossigeno per l’inizio dei vaccini, anche se la strada sarà lunga. E’ iniziato il 2021 e, seppur a Sanremo si è iniziato a parlare di Festival, i problemi non sono cambiati. Tra giallo e arancione si è arrivati a domenica scorsa, con la nuova chiusura di bar e ristoranti. La situazione, almeno nell’imperiese, è nuovamente precipitata e dalla vicina Francia non arrivano notizie migliori.
Intanto, da un anno, di qualsiasi cosa parliamo si finisce sempre per trattare lo stesso argomento: il Coronavirus. E le previsioni non sono delle migliori. L’unica speranza è proprio il vaccino ma, se non si arriverà ad una percentuale di persone elevata, il ritorno alla normalità, quello che dalle nostre parti è ancora targato Festival 2020, non tornerà.
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