State tranquilli: non parleremo del ritorno di Giulio Ebagua, neppure se ieri è andato a correre sulla ciclabile insieme all'allenatore Ezio Rossi, e nemmeno dell'inaccettabile sconfitta - emblema di remissione totale - contro la Sanremese, più forte del Varese, perfino "troppo" più forte nell'esibire con ostentazione la sua potenza di fuoco e il suo 3-0 al Franco Ossola con esultanze davvero esagerate e poco rispettose dell'avversario e del luogo, apparentemente non banale, in cui si è trovata a giocare e che avrebbe meritato più rispetto, più umiltà e più realismo (ma non siamo noi a doverli far rispettare).
Parliamo invece dei tifosi del Varese, che si sono dimostrati ancora una volta imprevedibili e commoventi nel loro amore estremo e - oggi - immeritato quando si sono presentati davanti ai cancelli della tribuna per sostenere prima del via una squadra oggi ultima in classifica: poco male, stasera abbiamo almeno salutato parecchi giocatori dimostratisi immeritevoli di questa piazza e di questi sentimenti (leggi qui le pagelle e qui la cronaca dello 0-3), e cioè tutti quei giocatori che, in campo dal primo minuto o subentranti, hanno affrontato questa partita con lo spirito da tombolata di fine anno o, peggio, come se giocare al Varese fosse uguale che farlo in qualunque altra piazza. Arrivederci e grazie, come ha detto l'allenatore Ezio Rossi a fine gara (leggi qui le sue dichiarazioni), ad almeno quattro-cinque elementi titolari e ad altri subentrati, che nemmeno sapevano dove erano finiti, colpevolmente trascinati a Varese dai responsabili del mercato biancorosso, cioè Califano e Scandola, finora fallimentare.
Parliamo anche della proprietà: chi ha ridato la serie D al Varese, scaraventato da altri al fallimento e all'oblio della terza categoria, merita di essere sostenuto proprio nell'ora in cui, a fronte di stipendi puntuali e investimenti da centinaia di migliaia di euro, la società è ultima in serie D. Non abbiamo paura di dire ciò che pensiamo a chi vogliamo: Antonio Rosati, Filippo Lo Pinto e Stefano Amirante, non è il momento di guardare la classifica ma di crederci ancora di più. E' dal fondo che è sempre partito, o ripartito, tutto: molto è stato sbagliato, l'importante è non perseverare. Ma intanto ci siete, e ci siamo.
Avvilente la sensazione d'inferiorità e impotenza provata oggi al Franco Ossola: è quella che ha trasmesso il Varese. Primo tiro in porta della ripresa all'89' (Balla) con la Sanremese (anche panchina e staff) a farla da padrone a Masnago e, chissà, magari anche a fine campionato, con una prolungata e infinita esultanza, una sensazione di voler e poter comandare anche con il tifo dei panchinari, con le urla e la mimica dell'allenatore.
La Sanremese sembrava giocare in casa sua da sempre, come il gatto con il topo e con i biancorossi completamente scomparsi dal campo al primo colpo avverso (33') dopo un buon inizio, esattamente come era accaduto con il Vado e non solo (non c'era Ezio Rossi).
In area di rigore il Varese predica nel deserto (servirebbe Neto, ma in campo), con il peso e la stazza di una piuma: persi tutti i contrasti e i palloni negli ultimi 11 metri per manifesta inferiorità fisica. Anche se ci fosse stato Disabato, o se Fall non avesse fallito, saremmo comunque stati troppo leggeri per la D: perché?
Da commentatori e anche da tifosi del Varese, un po' umiliati ci sentiamo. Per come siamo stati sportivamente "calpestati" e per l'incapacità di reagire: neppure la squadra di Tresoldi, piccola, umilissima e orgogliosissima fino all'ultimo con i suoi ragazzini abbandonati dalla società, ci aveva lasciato questo sentimento di inferiorità e quasi "nullità".
Dobbiamo essere sinceri: difficile immaginare come questo Varese possa riuscire a salvarsi: piccolo (di centimetri e di tutto), spaesato, schiacciato in lungo e in largo da un nemico reso più forte di quello che è, senza le risorse fisiche e caratteriali necessarie e, in più, con l'aggravante di averci comunque provato (impossibile imputare mancanza di impegno ai giocatori: giocano per quel che hanno e che sono).
Urlano tutti più di noi, gettano la palla in tribuna quando serve più di noi (spaccano pure un seggiolino), picchiano più di noi: forse in D si fa così e, purtroppo, il Varese non lo fa o non lo può fare. Palloni persi anche quando si è in vantaggio di metri, la sensazione di giocare senza avere l'intensità o la forza di metterci qualcosa in più una volta in svantaggio, sembra quasi che ci sia imbarazzo, paura, inconsapevolezza di chi si è e di dove si gioca.
La sensazione è che il Varese sia stato costruito male, quasi fossero stati acquistati pezzi qua e là da un vecchio catalogo Postal Market, senza tenere conto della categoria e della piazza: troppi nomi, almeno all'apparenza, pochissime radici e sostanza. Manca la garra. Manca il fuoco.
Anche con Disabato presente, perché mai avere nei paraggi Guitto, Romeo, Capelli o Minaj, che sono leggerissimi, pur bravissimi (almeno in teoria) palla al piede, ma small nella terra dei giganti e dei "filibustieri" qual è questo campionato? Chi difende i piedi buoni, se hai soltanto piedi buoni?
Come si fa ad andare all'assalto della serie D soltanto con puffi o sette nani che tutti ci invidiano, ma che poi tutti regolarmente "segano" o mettono fuori gioco in tempo zero?
Ma, soprattutto, come giustificare lo spirito e l'atteggiamento con cui Fall, Otelè, Lillo o Addiego Mobilio scendono - o sono scesi - in campo con la maglia del Varese? Chi li ha scelti, perché mai lo ha fatto?
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