Il Nazionale

Sport | 22 novembre 2020, 21:47

Douglas, l’americano ritrovato. Un pennello che sa redimere i peccati

IL COMMENTO DI FABIO GANDINI Scola non basta e non basterà mai a Varese, ormai lo sappiamo. Per vincere serviva un sodale e serviva una squadra: il primo ha risposto presente, la seconda ha lasciato intravedere qualcosa

Douglas, l’americano ritrovato. Un pennello che sa redimere i peccati

Se l’assioma incontestabile è che la pallacanestro sia uno sport di squadra, risulta sempre difficile immaginare una qualsiasi congrega baskettara che possa dirsi vincente senza ottimi solisti. Ieri, oggi, domani, sempre: la prima getta le basi, è la rete che permette di non cadere, è la tela senza cui il quadro sarebbe inimmaginabile; i secondi tengono in mano il pennello.

Le otto partite inaugurali di questo assurdo campionato macchiato dal Covid ci hanno tuttavia insegnato che le parole vanno declinate al plurale. Solisti quindi, non solista. Non è un particolare.

Luis Scola, pur con un incedere da MVP della Serie A confermato anche alla BLM Group Arena (QUI la cronaca), non basta e non basterà mai a Varese per vincere e far sorridere chi la guarda. Lo abbiamo scritto due settimane fa dopo il fondo toccato a Pesaro: il suo nome, così splendente nei numeri delle statistiche, continuava a fare talmente rima con la sconfitta da risultare stucchevole da celebrare. Serviva un sodale del canestro e serviva una squadra intorno a lui.

Questa sera, in un saporito e parzialmente inaspettato ratto dolomitico, assurto alle cronache dopo 5 anni, la Openjobmetis ha trovato sicuramente il primo

Toney Douglas è stato tutto ciò che ogni tifoso cerca nel suo “americano” tipo, tutto ciò che finora abbiamo potuto solo invidiare alle altre squadre, con la bocca semi aperta e la bavetta cascante: leader offensivo (28 punti e 6 assist), leader difensivo  con una capacità di pressione sulla palla (4 recuperi) che non credevamo possedesse nelle corde, uomo simbolo dei momenti difficili e porto sicuro per i tiri decisivi.

La sua tripla vincente sul 71-71, arrivata dopo che Varese era stata “libera” (termine non scritto a caso: andate a vedere la percentuale dei tiri dalla lunetta…) di buttare quasi via un potenziale successo costruito con il sudore dei suoi limitati mezzi, è il monumento di ciò che argomentavamo nell’incipit: è stato il tocco del campione, quello capace di rendere possibile l’impossibile, l’unico in grado di perdonare i peccati e dare un senso a quanto costruito, il solo a evitare una sconfitta che oggi avrebbe fatto più male di altre volte. Perché oggi qualcosa si è visto.

Una squadra? Calma… Forse sì, almeno in un senso che non smarrisce ancora l’assodata precarietà della struttura. Continuano a mancare i filtri sotto canestro, persevera l’assenza di una colla tra piccoli e lunghi sia davanti che dietro (e senza Ferrero e De Vico non potrebbe essere altrimenti), Andersson è piatto come una steppa svedese ghiacciata di inutilità e il tutto rimane sempre poco graziato dalla dea della furbizia (vedi alcune palle perse in serie, finale compreso). Però lungo l'Adige è venuto finalmente fuori un senso globale, si è intravisto un pizzico di logica complessiva, si sono lette delle linee guida più chiare, quasi come se il lavoro in palestra stesse facendo finalmente presa. Tre esempi: una difesa che ha trovato nella zona (e in Morse) l’arma per mandare fuori giri Browne e compagni, un Ruzzier che non pesta più i piedi a Douglas (e viceversa), lasciandogli campo libero e palla in mano, una varietà nel gioco offensivo più marcata che in passato (pur continuando a dipendere largamente da Scola) e delle gerarchie nel minutaggio sensibili di dare continuità alla prosa degli attori.

Ci viene da pensare a cosa sarebbe accaduto al referto rosa appena conquistato se la Dolomiti Energia avesse avuto i suoi due lunghi titolari: probabile un finale nel cestino della carta. Un bel chissenefrega, però, questa sera è più placido e meritato di un letto caldo per il viaggiatore. Solo per questa sera…

Fabio Gandini

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