Il Nazionale

Cronaca | 23 maggio 2020, 15:02

Tra visiere e distanze, la Messa al tempo della fase 2: “Una persona fuori dalla chiesa è una grande ferita”

Com’è cambiato il modo di vivere la messa? E quali sono le preoccupazioni dei fedeli? Ne parliamo con Don Luca Peyron, sacerdote della parrocchia Madonna di Pompei e coordinatore del servizio per l'apostolato digitale dell'arcidiocesi di Torino

Tra visiere e distanze, la Messa al tempo della fase 2: “Una persona fuori dalla chiesa è una grande ferita”

Dopo mesi di funzioni in streaming, a partire dal 18 maggio le chiese sono tornate a ospitare i fedeli e i sacerdoti a celebrare davanti a loro le messe. Le funzioni, ovviamente, si svolgono però in modalità differenti rispetto a prima.

Negli ultimi tempi, per esempio, è stata avviata una sperimentazione per prenotare il proprio posto in chiesa (a Torino presso la parrocchia Santa Giulia Vergine e Martire) tramite il portale iovadoamessa.it. A 72 ore dal lancio, ben 6.000 i cyber-fedeli che hanno prenotato la partecipazione alla Messa: un evidente segno dei tempi che cambiano. Si La sperimentazione è però un caso unico, singolare.

Tra visiere e posti segnati, in mezzo a igienizzanti e ingressi contingentati, cosa vuol dire nella “Fase 2” andare a messa? E quali sono le preoccupazioni dei fedeli, dopo mesi di lockdown? Ne abbiamo parlato con Don Luca Peyron sacerdote della parrocchia Madonna di Pompei e coordinatore del servizio per l'apostolato digitale dell'arcidiocesi di Torino.

- Don Luca, ci eravamo incontrati virtualmente mesi fa, per parlare di fede ai tempi del lockdown. Ora c’è stato un nuovo cambiamento, fase 2: si è tornati nelle chiese, ma in che modo?
Uso un’immagine biblica: Pietro e Giovanni che corrono al sepolcro. La notizia che Cristo è risorto è stata data, è una notizia straordinaria ma non sono ancora arrivati al sepolcro, non hanno visto la tomba vuota. Stiamo vivendo qualcosa del genere, siamo in corsa verso la tomba vuota ma non ci siamo ancora arrivati. Abbiamo un cuore contento ma dobbiamo verificare che non siano dicerie. Questa è una fase di transizione, ricca di speranza: la speranza di poter tornare a stare insieme. Ci rendiamo conto che siamo ancora in emergenza: ce lo dicono mascherine e distanze. Io uso questo tempo e questa situazione per aiutare la mia gente non solo a vivere questa emergenza, ma utilizzarla per vivere il loro cristianesimo. In questi giorni, nelle prediche della messe feriali, sto dicendo un po’ questo: la distanza è anche una manifestazione della cura che dobbiamo avere di noi stessi e degli altri. Celebrare la messa insieme, avendo cura dell’altro, è una bellissima manifestazione di eucarestia.<script type="text/javascript" src="//services.brid.tv/player/build/brid.min.js"></script>

 

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- A proposito di sacramenti: è cambiato il modo in cui vengono celebraiti, penso alla Comunione. Come vi siete organizzati? 

Dal punto di vista liturgico non cambia niente, cambiano alcune modalità legate al distanziamento fisico: non ci si scambia il segno di pace, la comunione viene data con alcune avvertenze: io uso la calotta utilizzata nei reparti Covid per rassicurare ancora di più la mia gente. E’ brutto se nel momento in cui ricevi il corpo di Cristo hai paura di chi te lo sta dando. Quel pezzetto di plastica evita che i fedeli e il prete abbiano paure. L’entrata è contingentata rispetto ai posti, l’uscita è fatta con calma per evitare assembramenti. Ci sono volontari che aiutano le persone anziane a capire dove sedersi e all’ingresso ci sono i gel igienizzanti. 

 

- C’è poi la questione dei posti vuoti.

Avevamo abitualmente circa 600 persone tra sabato e la domenica, evidentemente questi numeri non ci possono più essere. Abbiamo aumentato il numero di messe celebrate nel fine settimana, i posti sono limitati e questi segnaposto bianchi lo dicono con evidenza. C’è chi rimarrà fuori, chi avrà ancora paura di venire a messa. Se in chiesa ci sono dei posti riservati e non c’è posto per tutti sta mancando qualcosa, questa è la grande ferita di questo fase 2: la possibilità di stringersi un po’.

- Per quanto riguarda il rapporto con i fedeli: si è tornati a un contatto visivo, non ancora fisico, ma ci si può incontrare. Quali sono le preoccupazioni di chi viene a confrontarsi e a trovare conforto in lei e nella parola di Dio?

Io credo che le grandi fatiche siano di quattro ordini. La prima fatica riguarda il futuro economico, gli scenari di povertà. Ci sono studenti universitari che facevano piccoli lavoretti e non possono più farlo, molti di loro non riusciranno a iscriversi all’università. La seconda preoccupazione che resta è quella sanitaria, la terza invece è quella educativa: per i genitori, per il mondo della scuola. I bambini hanno bisogno di quello che la scuola rappresenta in termini di socialità. Una quarta preoccupazione riguarda la nostra vita ecclesiale. Penso alla prima comunione o la cresima, è ben triste svolgerle senza parenti o per alcuni. I cammini di preparazione ai sacramenti, che sono un momento importante, andranno ripensati e non sappiamo ancora come.

Ci sono poi attività formative e aggregative come oratori e centri estivi, oggi continuano a essere un grande punto interrogativo. Dal punto di vista religioso abbiamo una nuova religione che si chiama Covid-19, con dei nuovi riti: il lavarsi le mani, la mascherina, sacerdoti sostituiti da virologi e con l’attesa di un salvatore cercato in un vaccino, in una cura o un test sierologico. Queste diverse componenti stanno incidendo profondamente sulla vita spirituale delle persone. D’altra parte, in senso positivo, vedo una riscoperta della propria fede: tutte le mattine pubblico sui social un interventi che si chiama “interiorità cercasi” e vedo quante persone lo commentano.

C’è un interesse a riscoprire quello che abita nel nostro cuore: la fatica di abitare il mondo attorno non ci ha chiusi in noi stessi, ma ci ha fatto scoprire un mondo che dentro noi stessi ha continuato a vivere con le sue ombre e le sue luci. Questo è un motivo di speranza e resurrezione.

Andrea Parisotto

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