Una vera Odissea, perché scandita da eventi negativi, incertezze e timori. Ma soprattutto perché colloca la sfortunata protagonista in mezzo al mare, con tutte le difficoltà del caso sulla strada per tornare a casa. E' quella che racconta la torinese Elena Salomone, 26 anni, che - insieme ad altri 30 italiani - si ritrova rinchiusa a bordo di una nave da crociera. "Da 4 anni lavoro sulle navi da crociera come spa therapist e negli ultimi anni svolgo questo ruolo per la compagnia tedesca Tui Cruises", scrive nella lettera in cui cerca di riassumere la sua disavventura e - soprattutto - di chiedere aiuto. Soprattutto alle autorità italiane e alla Farnesina.
"Mi sono imbarcata ai primi di novembre a Dubai sulla nave Mein Schiff 5 - ricorda -. A metà marzo, allo scoppio della pandemia, tutti gli ospiti sono stati fatti scendere e la nave, dopo una settimana in cui è rimasta in porto a Dubai per i rifornimenti, si è diretta verso il Mediterraneo tramite il Mar Rosso e Suez in cerca di un porto in cui attraccare".
Arrivano in Grecia, ma la situazione non si sblocca. "Ci è stato negato l'attracco e siamo rimasti all'ancora per circa una settimana - racconta Elena -. Poi dalla direzione della Tui Cruises è arrivato l'ordine di trasportare alcuni di noi tramite tender su un'altra nave della compagnia, la Mein Schiff 6. Tutto questo è stato fatto in mare aperto e senza che la notizia trapelasse. La 6 ha attraversato il Mediterraneo, il canale di Gibilterra ed è risalita verso la Germania per attraccare ad Amburgo, sede della compagnia Tui. Tutti stavamo bene e lavoravamo per tenere la nave pulita e in ordine. Ci hanno anche permesso di trasferirci nelle cabine dei passeggeri e mangiare ai loro ristoranti".
Ma il peggio deve ancora arrivare. "Al largo di Brema la nave si è fermata ed è stata comunicata una lista dei membri equipaggio che dovevano trasferirsi su un'altra nave ancora, la Mein Schiff 3. Qui sono confluiti i membri equipaggio di più navi perché la Mein Schiff 3 non arrivava dall'Asia e quindi poteva attraccare in porto. Il trasferimento è di nuovo stato fatto tramite tender. Quando io e alcuni dei miei colleghi (non tutti e non si sa in base a cosa siano state fatte le scelte) ci siamo ritrovati sulla 3 abbiamo realizzato che la nave era strapiena di membri dell'equipaggio: 3200 tra cui 30 italiani. La nave è attraccata al porto di Cuxhaven mercoledì 29 aprile".
La situazione è decisamente peggiore, rispetto alle soluzioni precedenti. "Mi è stata assegnata una cabina dell'equipaggio sporca, con macchie e capelli sul pavimento e il bagno otturato e puzzolente. Anche le lenzuola sembravano sporche! Però ero contenta perché ci avevano detto che il giorno dopo avrebbero organizzato per noi italiani un pullman per il rientro. Questo pullman è risultato essere un viaggio della speranza: ci avrebbe lasciato prima della frontiera italiana sulle montagne sul passo del Brennero e poi ognuno avrebbe dovuto aggiustarsi. Solo tre ragazze di Udine e Bolzano sono partite".
"Io e il gruppo di ballerini italiani, anche dietro consiglio delle nostre famiglie, abbiamo chiesto un altro autobus per portarci almeno fino a Milano: io e un altro ragazzo siamo di Torino, ma la maggioranza è del sud Italia - prosegue nel suo racconto Elena -. Come dice il sito del ministero della Salute gli italiani di ritorno dall'estero non possono utilizzare mezzi pubblici, ma solo privati per il rientro a casa. Milano ci dava la possibilità di prendere un taxi o un'auto a noleggio.
Sembrava che il pullman potesse essere organizzato per sabato 2 maggio, ma purtroppo nel corso della mattinata il capitano ha annunciato che c'è un caso conclamato di Covid a bordo e quindi tutti i disimbarchi sono stati bloccati. Questa persona è a bordo in infermeria. Oggi sono stati fatti 250 tamponi e tutti erano negativi. Solo pochi tedeschi erano riusciti a scendere il giorno prima, le tre italiane portate al Brennero e alcuni africani a cui è stato dato il biglietto di un volo ora sono bloccati in aeroporto".
E l'Odissea prosegue. "Siamo in 3000 su questa nave che ora è una prigione, senza mascherine né guanti, condividiamo le cabine, mangiamo in 3000 in mensa, i corridoi sono affollati, le sale sono affollate, non si riesce nemmeno a passare. Non ci dividono su altre navi per rendere questa quarantena più vivibile, ma soprattutto meno pericolosa. Io e i 30 italiani abbiamo segnalato il caso alla Farnesina, ma non abbiamo ottenuto ancora nessuna risposta. Domani ripartiremo perché la nave non può sostare in porto: paga una quota al giorno e occupa spazio. Non sappiamo dove andremo né per quanto tempo e soprattutto saremo senza internet!! Ho comprato a caro prezzo un pacchetto dati che non funziona e la nostra richiesta di avere internet gratis è stata rifiutata. Ora sono in porto e con il mio abbonamento posso chiamare e usare WhatsApp, ma quando saremo in mare aperto non potremo più comunicare con le nostre famiglie per dir loro dove siamo e se stiamo bene. Pare che dalla compagnia si siano lamentati delle migliaia di post di protesta sui social e forse abbiano deciso di tagliare i dati. Non sappiamo dove siamo diretti, non sappiamo quando potremo scendere, non possiamo comunicare con i nostri genitori che sono in ansia per noi! E siamo obbligati a restare in 3000 su una nave senza protezioni e senza poter avere distanze sociali!".
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